|
Mario Rapisardi nacque a Catania il 25 febbraio 1844 in via Penninello 33 -traversa di via
Etnea-. Nel marzo 1883 andò ad abitare nella zona di piazza S. Maria di Gesù, esattamente nel villino Caudullo, in via Cifali, e là rimase fino al luglio del 1885.
Gli ultimi decenni della sua vita li trascorse nella casa di via Etnea 575"...aerea la casa spazia / fra gli orti e i campi aprici, / fra l'Etna e il mare, i miei due
grandi amici". Nel 1868 pubblica il suo primo poema, La Palingenesi, dove in 10 canti polimetri
che è un canto a Roma, condanna la corruzione del clero e difende l'azione moralizzatrice di Lutero, prospettando col connubio arte-scienza il ritorno del cristianesimo
alla purezza originaria. Così esordisce:"Sia principio da te, luce inconsumata / Di verità: coeva a Dio tu splendi / Per la notte dei tempi..." Il successo
dell'opera (Verga fu uno dei primi a congratularsi) echeggia anche all'estero (Victor Hugo è tra i più significativi estimatori:
J'ai lu, Monsieur, votre noble poème. Vous avez dans les mains deux flambeaux: le flambeau de la Poésie et le flambeau de la Verité. Tous deux éclaireront l'avenir.
L'avenir c'est Rome à l'Italie et Paris à l'Europe..., je vous envoie mon applaudissement fraternel.), mentre il municipio di Catania assegna all'autore una medaglia
d'oro e il ministro Correnti lo chiama a insegnare letteratura italiana nell'ateneo catanese. Gracile, ispirato, romantico, ombroso, geniale e incompreso, ebbe vita intima tormentata. Nel 1872, il 12 febbraio,
a Messina sposa una ragazza toscana, Giselda Fojanesi, una bruna di tipo siciliano che suscitò un pandemonio nell'ambiente in cui si svolgeva la vita di Mario.
Trascorrono undici anni non felici per la sposina toscana: il Rapisardi si dimostra geloso, irascibile ed infedele. La suocera, Teresa Fossi, chiusa e malignetta, da
venir soprannominata, dallo stesso figlio Carricafocu, contribuisce al fallimento del matrimonio. Un nuovo incontro tra la Fojanesi e il Verga a Firenze nell'estate del 1879, rinnova l'antica fiamma; e la tresca continua a Catania fino a metà dicembre del 1883, quando Rapisardi scopre una lettera del Verga (che era tutto il contrario dell'amico: solido, moderno, naturale) a Giselda così conclusa: "Ti bacio sul viso, sugli occhi, sulla bocca così, così, così, a lungo, prenditi qui l'anima mia". Subito dopo, il Rapisardi, (fine del 1883) rompe il matrimonio con la moglie. È protagonista di un altro scandalo che lo riabilita e stavolta anziché vittima lo trova protagonista: una infatuazione tempestosa per la poetessa Evelina Cattermole Mancini (contessa Lara). Passata la sbornia, nel 1885 si sposa con una diciottenne assunta come segretaria, Amelia Poniatowski Sabèrnich, figlia del principe Carlo Poniatowski e di Carolina Sabèrnich, che gli sarà compagna fedele per tutta la vita.
Nel 1872 escono le liriche Ricordanze definite parnassiane rivelando una genuina vena intimista. Uno studio critico su Catullo gli vale nel 1875 la nomina a professore straordinario di Letteratura italiana e l'incarico di Letteratura latina all'Università di Catania.
Già da qualche anno il poeta è dedito alla stesura del suo secondo poema, il Lucifero, ispirato dalla crisi di ateismo che colse il poeta e dalle Guerre de
Dieux del Parny, ma anche da Milton e dal carducciano Inno a Satana. Il poema, in 15 canti, quasi 10.000 versi, endecasillabi sciolti e altri metri, pur essendo diseguale a livello
artistico (a efficaci descrizioni e qualche episodio memorabile oppone una certa macchinosità d'insieme e non rare cadute di tono per non dire di gusto), resta
l'espressione più significativa della poesia italiana d'indirizzo positivista. Esordisce così il poema: Dio tacea da gran tempo. Ai consueti / Balli moveano in ciel gli astri, e con dura / infallibile norma albe ed occasi / Il monotono Sol dava a la terra. Lucifero è l'Eroe, che, non ascoltando gli ammonimenti di Promoteo, sale sulla Terra per incarnarsi e dare all'uom salute e morte a Dio. Nel 1884 usciva il poema Giobbe, altro lungo poema, canta il duro cammino dell'umanità infelice che è il
suo capolavoro di pensiero e di poesia. Egli elesse, per il suo epico racconto, il biblico Giobbe credente nel suo Dio, Geova, alla guisa del monoteismo cristiano, lasciando la mitologia pagana ed esaltante, nella pluralità degli dei e degli eroi, la bellezza della vita mortale, la noncuranza della sorte ultramondana. " Giobbe dirò, che, sebben giusto e pio, / Molti affanni patì, quando il sorriso / Provato avea di avventurosi giorni: / Sotto al flagello di perpetui mali / Or pavido soggiacque, ora la voce / Sollevò ribellante, infin che scorto / Dal sagace pensier per vari climi / E per lontane età, fra un procelloso / Mutar di genti e dileguar di numi, / La Natura conobbe, a cui più volte / Invan pria di morir chiese la pace" (Libro I parte I). I distici dove il personaggio grida a Dio la sua disperazione (Libro III parte I) toccano altezze forse ineguagliate nella poesia italiana del secondo Ottocento.
Nel 1887 dà alle stampe le splendide Poesie religiose, forse il suo vertice lirico, cui seguono i cesellati Poemetti (1892) e gli Epigrammi (1897),
nonché delle impegnative traduzioni di opere di Catullo, Shelley e Orazio, anche se la cosa più importante resta la traduzione e lo studio critico del poema La
natura di Lucrezio (1879). Nel 1894 pubblica il suo quarto e ultimo poema, L'Atlantide, dove, ispirandosi ai Paralipomeni del Leopardi, disegna nelle
vicissitudini del poeta Esperio la società italiana lasciva e inetta, additando nella corruzione il principio dei mali. Nel mentre disprezza la borghesia, canta le
figure di Newton, Darwin, Pisacane, Marx, Cafiero e altri grandi della storia universale. Denuncia con lucidità e coraggio la criminale politica del governo Crispi
(vedi la repressione dei "fasci siciliani"), nella prefazione a Gli avvenimenti di Sicilia e le loro cause (1894) e nel dialogo Leone (1895), che
spiegano le feroci repressioni dei moti contadini e operai, nonché nel pamphlet Africa orrenda (1896) e in alcune poesie, avverse al truculento colonialismo.
Con caricature o versi siciliani, metteva alla berlina amici o chi non gli andava a genio. Negli ultimi anni si chiude in un silenzio ostinato, indifferente agli onori
dei concittadini, che superano di gran lunga quelli tributati a Verga, De Roberto, Capuana… Non lo toccano neppure le critiche di molti studiosi (specialmente il Croce),
anche se tra le sue carte si sono trovati feroci epigrammi a gran parte dei letterati dell'epoca: Fogazzaro, Croce, Pascoli, Carducci, D'Annunzio…
Sulu, luntanu di l'eterni gridi,
Tu, fermu a l'intemperii e a lu ventu,
Chi ti nni 'mporta si 'na fudda magna,
Tu, sulitariu, a la superbia avvezzu, Francesco Romeo Corsaro
Catania in un bel viale del suo incantevole "Giardino Bellini" ('a Villa),
raccoglie i suoi uomini illustri che le hanno fatto onore in tutti i tempi. Una specie di Pantheon degli uomini illustri all'aperto. Fra questi grandi catanesi è il
mezzo busto in bronzo di Mario Rapisardi.
Mentre la tomba dell'amata compagna Amelia Poniatowski Sabèrnich è stata realizzata dall'architetto catanese Sebastiano Ittar,
non abbiamo notizie certe su chi abbia realizzato il monumento funebre dove è sepolto il Rapisardi, contrassegnato col n. 001 del viale degli uomini illustri del cimitero
monumentale di Catania.
Come potete vedere sulla scheda facente parte del progetto "Cimiteri Monumentali di Sicilia", la tomba è stata realizzata in pietra lavica. Sulla parte superiore è stata
poggiata una grande urna con una maschera e varie figure, fra cui una scultura che riproduce il volto del poeta. Una lapide è stata collocata sulla parte anteriore della
tomba che riporta i versi del poeta siciliano Saru Lizzio: "Sta giusta tomba chiudi lu to Corpu/ma lu munnu no chiudi lu to nomu.
Fonti: Ju, Sicilia - Virgilio Zanolla - AA.VV.
Altre informazioni su Mario Rapisardi si trovano sulla rivista "JU, SICILIA" organo ufficiale del CSSSS
|