Sebastiano Ittar nasce a Catania nel 1768 dall'architetto polacco Stefano e da Rosalia Battaglia. Figlio d'arte,
architetto come il padre e il nonno materno Francesco Battaglia (1701-1788). Visse per diversi anni fuori dalla Sicilia e, tra Malta (con il padre impegnato dal 1784
nella realizzazione della biblioteca dei Cavalieri di Malta), Roma (nel 1795 insieme al fratello Benedetto, dove studiò architettura e si dedicò alla pittura e
al disegno) e la Grecia (collaboratori di Lord Elgin, ambasciatore inglese a Costantinopoli, lo ingaggiano per una spedizione finalizzata a studiare
le antichità classiche), ebbe le occasioni per ampliare le sue conoscenze nel campo dell'architettura, disciplina a cui era stato educato e che aveva lasciato il segno
nella sua formazione di vitruviana memoria.
Intorno al 1795 Sebastiano Ittar lascia Malta per frequentare gli ambienti accademici romani, tappa fondamentale per il perfezionamento di artisti e architetti.
Nel periodo 1799-1803 con l'incarico di assistente di Balestra per eseguire i rilievi di monumenti archeologici e dei reperti dell'antica Grecia, accompagnò
Lord Elgin ad Atene. In questo periodo eseguì numerosi rilievi dei monumenti dell'Acropoli dell'Hephaisteion e dei monumenti coregici di Trasillo e di Lisicrate ad
Atene, degli scavi di Eleusi, di Corinto e in vari centri del Peloponneso. Il lavoro di Ittar fu talmente meritevole da essere presentato il 16 agosto 1831 a Parigi,
alla Société nationale des beaux-arts per dare la sua testimonianza con una conferenza sulla allora dibattuta questione della policromia della scultura antica, che gli dette una certa fama.
La collaborazione tra il padre Stefano e Sebastiano è leggibile nell'iter professionale che, partito da premesse tardo barocche non le abbandonò mai pur innestandole
su tendenze innovative: si ricordò del padre non solo nei primi progetti architettonici, ma anche quando disegnò le vedute di piazza Sanfilippo (oggi piazza Mazzini),
del porto col faro, di piazza del Duomo e di piazza dell'Università.
Nel 1835 nella zona della Plaja si iniziò la costruzione di un cimitero, per far fronte alla grave epidemia di colera del 1837 e l'incarico fu affidato a Sebastiano Ittar, ma il luogo scelto non fu molto idoneo in quanto il terreno era fortemente sabbioso e i cani riuscivano a dissotterrare i corpi, e quindi non era conforme alle direttive vigenti in materia. Un ringraziamento da parte del CSSSS alla Regione Siciliana: Assessorato dei beni culturali e della identità siciliana per averci donato il libro "ITTAR, la matita e la pietra" a
cura di Nicola Francesco Neri e Roberta Carchiolo. REPERTORIO ICONOGRAFICO in aggiornamento
Da adolescente, nel 1784 Sebastiano segue la famiglia che si trasferisce a Malta. Con la prematura morte del padre Stefano avvenuta il 18 gennaio 1790, Sebastiano
porta a termine, dall'aprile 1790 al settembre 1795, le opere che erano già state pagate al padre. Si trattava precisamente della Biblioteca dell'Ordine a La Valletta
(lavorando su questo progetto gli fu posto a fianco il cavaliere Deodato de Dolomieu) e il Palazzo per la Langue de Provence in Strair Street. All'età di 22
anni "l'architetto Sebastiano Ittar" dirige il più importante cantiere commissionato dai Cavalieri di Malta che la storiografia locale ha a lungo assegnato al capomastro
architetto Antonio Cachia. Però, l'attribuzione di alcuni disegni a Stefano Ittar apre non pochi dubbi sulla legittimità della firma apposta dall'architetto Cachia.
La sua permanenza a Roma, documentata anche da un prezioso quaderno di schizzi e da due acquatinte custoditi presso il Museo Napoleonico di Roma, anche se non ha
lasciato significative tracce, evidenzia un pregevole taccuino composto da circa 30 carte. La prima parte di questo taccuino contiene 13 acquarelli color seppia di
paesaggi con monumenti della città antica: l'interno dell'Anfiteatro Flavio (il Colosseo) con le edicole della via crucis; una figurina di artista con l'album
sottobraccio ai piedi di una delle due colonne ai lati della Piramide di Cestia; viandanti, cavalli e buoi sotto una delle tante porte romane; e ancora rovine di acquedotti, templi e mausolei. Sembrano
infine realizzati nei giorni romani anche i sepolcreti, due capricci di monumenti ispirati a tombe e mausolei. Non si è rinvenuto alcun documento che attesti la frequenza in accademie come accade al fratello "Benedetto Ittar Maltese"
vincitore del 1° premio, Terza classe, Pittura, del Concorso Clementino del 1795. Con lui e con il fratello Enrico, Sebastiano soggiorna presso il Pensionato Borbonico, come conferma lo scultore Valerio Villareale: "...inviato a Roma, avevo
soggiornato a Palazzo Farnese nella stanza dei pensionati del re di Napoli insieme alla famiglia degli architetti e disegnatori Ittar e con l'architetto Giovanni Campana".
Durante i tre anni romani, Sebastiano Ittar partecipa al dibattito sull'architettura per una società moderna seguendo le "conversazioni" di Carlo Pio Balestra, principale
animatore dell'Accademia della Pace, libera associazione di artisti e architetti.
Nel 1804 rientra a Catania e nel corso della sua lunga attività prevalentemente, ma non solo, nel nostro territorio, Sebastiano Ittar è stato tra le espressioni
creative più significative del diciottesimo e diciannovesimo secolo; la sua testimonianza per lunghi anni ha respirato l'aria dei depositi del Museo Civico di Castello
Ursino che conserva ad oggi oltre 500 disegni d'architettura civile, matrici di incisione, documenti e incisioni della preziosissima collezione. Ad essere precisi, si
tratta di un "Fondo", una consistente raccolta di documenti in discreto stato di conservazione, costituito da 73 unità tra manoscritti, corrispondenza, atti di enti
pubblici e opere a stampa. Si dedicò allo studio e al rilievo dei monumenti antichi e al disegno di piante urbane e territoriali e vedute poi incise su rame, tra cui
un'importante planimetria di Catania per la cui realizzazione impiegò più di 25 anni, dal 1806 al 1832, fatta incidere durante un lungo soggiorno a Parigi, dove fu
invitato da Jakob Ignaz Hittorff, famoso architetto parigino di origine tedesca e suo amico, conosciuto nel 1823, durante il viaggio in Sicilia di quest'ultimo, anch'esso studioso di
antichità classiche.
Catania è ovviamente il territorio maggiormente indagato da Sebastiano Ittar, oggetto di lunghi studi che sfoceranno nella Pianta Topografica della Città di Catania.
(1806-1829).
Il 29 agosto 1833 ricopre l'incarico di architetto (ingegnere) del comune di Catania, elaborando molti interessanti e non realizzati progetti di valore
urbanistico per una città che viveva un grande sviluppo demografico e cresceva disordinatamente.
In seguito, il comune di Catania, abolite le corporazioni religiose, confiscò la tenuta di Santa Chiara, in contrada Acquicella e per la realizzazione del cimitero fu incaricato il messinese architetto Leone Savoja, che si era brillantemente occupato del cimitero monumentale di Messina.
Si registrano moltissimi disegni e tanti progetti e realizzazioni di opere: Ittar con orgoglio inserisce e manifesta l'opera umana sull'opera maestosa della natura,
in buona parte della Sicilia e dell'Europa.
Nel 1837 è eletto membro onorario del Royal Institute of British Architects di Londra, del quale fu socio fino alla sua morte.
Il 26 giugno 1861 il comune di Catania rigetta per mancanza di fondi la richiesta avanzata dalla vedova Marianna Calì e dalla figlia di Sebastiano Ittar.
Nel silenzio delle sale e del deposito del Museo Civico di Catania, i disegni di architettura civile di Sebastiano Ittar custodiscono parte della storia di un Ottocento catanese ancora inedita.
Catania non ha fatto molto per Sebastiano Ittar. Ha semplicemente intitolato una strada ad un certo "Ittar" senza un nome di battesimo. Potrebbe essere il padre
Stefano, certo anche Sebastiano o il nostro vicino di casa.
Solo il riordino inventariale del "Fondo" catanese curato dalla Soprintendenza di Catania ha inteso
consegnare all'architetto Sebastiano Ittar un primo, dovuto riconoscimento per il suo ingegno e per il grande lavoro svolto. Aver ignorato un artista di tal fatta, in
vita come in morte, rappresenta ancora la fatale perdita di una grande opportunità culturale.
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