A cura di Natale Turco (storico) |
È ampiamente dimostrato che il popolo di Sicilia è stato sempre un accanito difensore della Libertà: cioè di quel principio morale, spirituale e politico che s'identifica con la dignità dell'uomo e con l'essenza di ogni comunità, che ha valore di categoria universale, e che l'Organizzazione delle Nazioni Unite, nel 1945, per salvare le future generazioni dal flagello della guerra, ha posto a fondamento del volontario patto comunitario. L'art.1 della Carta afferma infatti che il suo scopo prioritario è quello di mantenere la pace e la sicurezza internazionale e di sviluppare tra le nazioni relazioni amichevoli, fondate sul rispetto del principio dell'eguaglianza dei diritti e dell'auto-decisioni dei popoli. In forza di questo stesso principio che ha le sue radici nel diritto naturale degli uomini e delle Genti, la Sicilia ha lottato e continua a lottare per il riscatto della sua Libertà.
Nel V secolo a.C. Ducezio guidò i Siculi contro la prevaricatrice colonizzazione greca della fascia orientale dell'Isola: Gelone di Siracusa e Terone di Agrigento salvarono l'Occidente nel 479, con la vittoria di Imera: Ermocrate, Dionisio, Timoleonte, Agatocle e Pirro respinsero le pretese cartaginesi dal IV al III secolo a.C.; e dopo la caduta di Siracusa, fu ancora tutto il popolo Siciliano, sia pur ridotto in schiavitù, ad accorrere in massa nella I e nella II guerra di liberazione che ebbe i suoi capi in Euno, in Salvio e in Atenione dal 139 al 91 a.C. Fino al tramonto del III secolo d.C., durante i regni di Cesare Ottaviano Augusto, di Tiberio, di Nerone e di Licinio Gallieno, i Siciliani continuarono a sollevarsi per il ripristino della propria libertà, mentre non è da dimenticare che i maggiori giuristi e le stesse leggi della Repubblica romana avevano riconosciuto che la nazionalità dei Siculi era diversa e non assimilabile a quella romano-italica di tutti gli altri abitanti della penisola.
Quando poi la spinta dei popoli indo-germanici determinò il crollo dello Stato romano d'Occidente e della sua mostruosa organizzazione carceraria, anche la Sicilia si vide libera, nel 469, per lo sbarco dei Vandali. Vandali, Goti e Ostrogoti
si mostrarono civilissimi con i Siciliani: e, nei settant'anni durante i quali vi ebbero giurisdizione, nell'Isola regnò la pace e il lavoro. L'artigianato, il commercio e l'agricoltura rifiorirono per completo e tutte le città poterono ricostituire quei loro organi amministrativi autonomi che il nefando dominio
coloniale di Roma aveva svuotato di ogni dignità curiale. L'accorta politica economica di Odoacre e di Teodorico, risparmiando tra l'altro ai Siciliani il peso di tutti i gravami fiscali che li avevano dissanguati per il passato, assicurò all'Italia la sopravvivenza alimentare.
Ma il folle sogno giustinianeo della ricostituzione dell' Impero romano doveva ostruire ancora per secoli la lunga marcia del nostro popolo verso la libertà; i Bizantini, infatti, invasero l'Isola nel 535 e la tennero fino alla metà del IX secolo. Si deve tuttavia riconoscere, che , a differenza di quella per l'Italia,
Giustiniano promulgò per la Sicilia una particolare Costituzione, anteriormente al 554: che fino ai primi decenni del VII secolo l'Isola ebbe un'amministrazione civile, militare e finanziaria propria, e che la profonda riforma dello Stato bizantino, dal VII secolo in avanti, riconobbe esplicitamente la personalità etnica
, politica e territoriale dell'Isola, col farne appunto uno dei ventinove distretti autonomi nei quali si articolò. Questi motivi di grande valore storico e giuridico dimostrano che anche Bisanzio, dopo Roma, riconobbe il passato e il diritto sovrano della Sicilia, oltre che la sua formidabile collocazione geo-politica nel Mediterraneo.
Ciò però non poteva bastare a un popolo che non ha mai rinunciato all'indipendenza, e la sfida all'egemonia burocratica e militare della grande potenza bizantina si ebbe regolarmente nelle sollevazioni del 668, del 716 e del 781.
All'inizio del Medioevo, la marcia di avvicinamento di una nazione al suo traguardo di libertà non può essere vista ancora come una linea retta tra il suo più remoto punto di partenza e quello d'arrivo: ma, specie se il suo territorio è fatalmente un luogo di scontri di civiltà e d'interessi come la Sicilia, segue
evidentemente un itinerario che spesse volte ha tutte le sinuosità di un geroglifico. E già all'inizio del Medio Evo, questa Nazione mediterranea, che il genocidio dei romani aveva fatto regredire per un millennio, stava per cingere, prima in Europa, il titolo di Stato.
Da quel momento storico trentasei sovrani si succedettero al reggimento di questo Stato fino al 1836, e all'atto stesso di riceverne la Corona tutti giurarono fedeltà e rispetto alle sue Costituzioni. Mancarono alla parola data Carlo I d'Angiò e Ferdinando III di Borbone: ma mentre il primo venne cacciato a furor di popolo nel lunedì di Pasqua
del 1282, la dinastia dello spergiuro Ferdinando, che aveva consumato l'infamia dell'inserimento dell'art. 104 nel Trattato di Vienna, fu dichiarata decaduta dal Parlamento nel 1848.
Il disastro di Waterloo permise ancora alla restaurazione conservatrice degli austro-inglesi di riportare a Napoli Ferdinando III, il quale, ben deciso questa volta a eliminare ogni segno della nostra identità nazionale, pensò addirittura di abolire la gloriosa Bandiera della Sicilia e di abbattere il titolo stesso dello Stato con i due assurdi decreti del 15 maggio e dell' 8
dicembre 1816. Riprese dunque la lotta dei nostri padri, con le congiure e le Rivoluzioni del 1820-'21, del 1831, del 1837, del 1847, e con l'epica Guerra di popolo che il Comitato Generale dell'Insurrezione, assunti tutti i poteri di Governo provvisorio dell'Isola, dichiarò al Bombardatore il 12 gennaio 1848.
Nel risveglio europeo della seconda metà del secolo XIX si giunge così alla colossale truffa dell'operazione ordita nel 1860 dalla "Società Italiana" del Cavour, e con la quale si apre l'ultima pagina della storia contemporanea di questo popolo, che ha dato al mondo, per venticinque secoli chiare lezioni di diritto pubblico e sul diritto dei popoli all'autogoverno.
Nell'827, infine, il moto capeggiato da Eufemio riuscì in gran parte allo scopo, con l'aiuto degli Arabi; e se il destino volle che Eufemio morisse un anno dopo, sotto le mura di Enna, il fatto che dal 947 si costituì nell'Isola un Emirato siciliano ereditario e indipendente dall'impero Islamico è di per sé abbastanza dimostrativo del progresso
sostanziale della Nazione verso la sua mèta storica. In ogni caso, la pacifica coesistenza di razze, di costumi e di religioni; il rispetto più assoluto della libertà individuale, della proprietà privata e delle singole attività; l'incessante crescita culturale e tecnologica; il benessere economico raggiunto da tutte le classi tra il IX e l'XI secolo sono i dati
positivi che, in quel periodo di barbarie, di schiavitù e di fame per l'Italia e l'Europa, si registrano solo per la Sicilia araba.
Sicilia: Il primo Stato d'Europa.
L'epopea del conquisto normanno durò trent'anni, da Messina a Noto; ma nella notte di Natale del 1130, con la sfarzosa incoronazione di Ruggiero II, nasceva alfine il Regno di Sicilia: cioè quel primo Stato della Cristianità, le cui strutture fondamentali, -- Parlamento, Bandiera, Moneta, Esercito --, sarebbero rimaste intatte per oltre sette secoli,
sia pure con fortune alterne.
Sette secoli di sovranità.
Anche durante il periodo più triste dei vicerè, il Parlamento Siciliano continuò ad esercitare un'azione notevole in difesa dei diritti di sovranità dell'Isola; gli stessi moti e le sollevazioni popolari di Palermo, di Messina, di Bivona e di tante e tante altre città lungo tutto il XVII e il XVIII secolo non ebbero soltanto intenti antispagnoli ma, dalle anguste questioni di politica municipale, si librarono
a quella generale dell'Indipendenza. E quando il moto generale trasformò il vecchio Parlamento feudale nel nuovo Parlamento fondato sul principio di rappresentanza e sul sistema elettorale, il risultato storico di quelle lotte fu la Costituzione del 25 maggio 1812, che segnò il rientro della Nazione Siciliana tra gli Stati più civili e democratici del mondo moderno.
La lotta ai tiranni.
Il calvario dell'annessione.
Con il decreto dittatoriale del 15 ottobre 1860, vittime della "liberazione garibaldina" furono i Siciliani: che come mandria di porci vennero 'annessi' al regno di Vittorio Emanuele II senza nessuna consultazione elettorale; quando questa vi fu, sei giorni dopo la pubblicazione di quel decreto "repubblicano", essa ebbe soltanto tutti i crismi di una beffarda tacitazione mafiosa della loro volontà civile e politica.
Ma da quello stesso 1860, come d'altronde nel 1863, nel 1866, nel 1893-'94 e come ancora nel quadriennio 1943-'46, questa libera volontà popolare continua a dare al mondo manifestazioni che non lasciano dubbi sull'interpretazione dell'anima collettiva dei Siciliani, della loro storia e del loro diritto: i Siciliani vogliono l'indipendenza della loro Terra.
Dicono che allo stato attuale il volume globale della produzione agricola e alimentare della Sicilia non raggiunge quei livelli che possano consentirle una sua presenza quantitativa nel circuito mondiale di questi beni di prima necessità. Ma è sempre vero che questo volume è in grado di soddisfare ampiamente i bisogni interni, e che molti tra i più significativi prodotti di alcuni settori agricoli e alimentari,
come gli agrumi, l'olio, il vino, la frutta secca, le primizie orticole, le farine di cereali e le semole, le paste alimentari, i prodotti della pesca ecc., contribuiscono efficacemente ogni anno a rendere " attiva " la nostra bilancia commerciale. Le risorse minerarie della Sicilia sono considerevoli, e risultano ancora più imponenti le possibilità di sviluppo e di organizzazione della produzione del settore industriale, oltre che dell'artigianato e del commercio.
Ma la nostra economia riflette dal 1860 la disperata condizione di servitù politica dell'Isola, così che, pur possedendo i requisiti necessari a un suo decollo autonomo, presenta invece tutti i connotati tradizionali di un'economia coloniale, subalterna e integrativa, posta cioè completamente al servizio delle esigenze economiche e rapinatrici dello Stato colonizzatore. E per averne la dimostrazione, basta riflettere sui dati
ufficiali fornitici dal Bollettino del Banco di Sicilia sulla congiuntura economica siciliana.
1) Secondo le stime ENEL, la Sicilia produce 16/18 miliardi circa di Kwh di energia elettrica: dei quali soltanto circa 12 miliardi sono consumati nell'Isola, mentre tutto il resto è trasferito in Italia. Di questi 12 miliardi però, il 40% è consumato dai Siciliani per illuminazione pubblica, consumi domestici, commercio e pubblica amministrazione, agricoltura e trasporti, ma il restante 60% è trasferito anch'esso a quelle industrie italiane di Stato, chimiche ed estrattive
, che operano impunemente tra Priolo (SR) e Gela (CL). Così che, mentre i Siciliani pagano per i 4 miliardi e mezzo circa di Kwh consumati, vengono derubati letteralmente dei restanti miliardi di Kwh di energia, tutta prodotta nelle loro centrali. La perdita secca per la nostra economia, al prezzo netto di oggi per L/Kwh, è di 500 miliardi annui di lire!
2) La Sicilia (Terra ricca di giacimenti di petrolio), dispone di petrolio a Ragusa, Gela e Gagliano Castelferrato. Secondo le stime ENI, dal 1971 i pozzi della Sicilia continuano a produrre una media non inferiore a 7 milioni annui di barili di petrolio greggio "pesante". Ma questo tipo di greggio, che sul mercato mondiale attuale ha un valore superiore ai 22 $ USA per barile, ci viene anch'esso rubato dall'ENI senz'alcuna contropartita. La perdita secca per la nostra economia è di almeno 250 miliardi di lire annui, ai quali inoltre si deve aggiungere la perdita secca per il mancato pagamento
dei 600 milioni di metri cubi di gas metano, estratto mediamente ogni anno, e anch'esso portato via senz'alcuna contropartita, dai giacimenti di Gagliano Castelferrato (EN), dal solito Ente di Stato.
3) Secondo i dati dell'UPI, dell'ANIC e della MONTEDISON, il petrolio greggio importato e lavorato in Sicilia dalle varie raffinerie italiane è di oltre 31 milioni di tonnellate, segnando così un ulteriore incremento produttivo dell'ordine di 4 milioni di tonnellate rispetto all'anno precedente. E mentre quelle raffinerie italiane continuano ad aumentare il danno al patrimonio ecologico e alla salute stessa dei Siciliani, questi, di contro, non percepiscono che una misera parte delle entrate tributarie devolute allo Stato Italiano,
il quale così, oltre a sottrarre ogni anno alla nostra economia una parte del gèttito derivante da quei redditi soggetti a ricchezza mobile, in base a quelle attività industriali " siciliane " ci ruba ancora quanto segue: l'intero ammontare del gèttito di quelle " nuove entrate tributarie " che egli via via impone e destina " alla copertura di oneri diretti a soddisfare le (sue) particolari finalità contingenti o continuative "; l'intero ammontare delle corrispondenti imposte sugli oli minerali e loro derivati, sui gas incondensabili degli stessi prodotti petroliferi e sui gas stessi
liquidi con la produzione; e l'intero ammontare dell'imposta erariale sul gas metano. Oltre a sottrarci tutto ciò, lo Stato italiano fa pagare ai Siciliani le imposte periodiche che continua a sovrapporre al prezzo originario della benzina, prodotta in Sicilia. La perdita secca per la nostra economia si aggira intorno ai 600 miliardi annui di lire!
4) Le materie plastiche, le resine sintetiche, i prodotti chimici per l'agricoltura che MONTEDISON, ANIC, ISPEA ecc., con la rapina del nostro petrolio e dei 2 milioni di tonnellate all'anno di
minerali potassici, producono negli stabilimenti di Priolo Gargallo, Porto Empedocle, Gela, Campofranco, Pasquasia e San Cataldo, rendono alla nostra economia un danno calcolabile in 150 miliardi annui di lire!
5) Secondo l'ISTAT e l'Assessorato siciliano al Turismo, ogni anno si registra nell'Isola la presenza di 3 milioni di turisti stranieri. E poichè lo Stato Italiano si oppone ancora all'attuazione di quel diritto che ha ipocritamente riconosciuto ai Siciliani con L'art.40 del mortificato
Statuto speciale di Autonomia, è chiaro che ogni anno ha continuato a sottrarci una disponibilità valutaria che, per la sola voce turismo , si può calcolare prudenzialmente in 800 milioni di $ USA. E se a questo colossale furto valutario dello Stato colonizzatore aggiungiamo infine il
controvalore in $ USA degli oltre 100 miliardi di lire di rimesse dall'estero degli Emigrati Siciliani, e il controvalore degli oltre 400 miliardi di lire accreditatici per l'interscambio commerciale diretto della Sicilia con l' estero, pur non tenendo conto del ricavo dei noli esteri di navi iscritte nei comparti siciliani si dimostra che
la perdita secca della nostra economia ogni anno, per la indisponibilità di manovra di questa massa di valuta che supera abbondantemente 1.000.000.000 di $ USA, è incalcolabile, solo se si considera che la disponibilità di essa potrebbe concorrere ad avviare in concreto il processo d'industrializzazione autonoma
nel quadro di una programmazione economica esclusivamente siciliana.
6) A questo quadro non sfugge tuttavia la sorprendente e spudorata registrazione del dato statistico della Banca d'Italia sul mercato del credito siciliano,
secondo il quale, i depositi bancari delle famiglie siciliane ascendono a 6.000 miliardi circa. E ciò significa che, mentre le banche commerciali e gli istituti di credito italiani continuano ancora a rastrellare nell' Isola tanto denaro contro il pagamento di un basso interesse ai depositari, quelle stesse holdings finanziarie e industriali italiane
che garantiscono al sistema dello Stato dominatore la nostra abietta condizione coloniale, possono ancora più facilmente accedere all'acquisto di quei 6.000 miliardi per finanziarsi, per finanziare il sistema politico della partitocrazia italiana, e ribadire così le catene della totale schiavitù dei Siciliani.
7) Se a tutto ciò si aggiunge che la Regione Sicilia, squallido ricettacolo di collaborazionisti del sistema coloniale italiano, brucia almeno il 50% dei 4500 miliardi di lire del suo bilancio annuale per i suoi interventi dispersivi settoriali e clientelari che nessun beneficio apportano a una razionale crescita programmata della nostra economia
e della nostra società, ogni Siciliano può darsi conto che la caduta verticale della nostra dignità sociale ed economica, del nostro avvenire di Nazione, è irreversibile.
Dal 1860 la Sicilia non dispone più di un'economia propria, di una finanza, di un'amministrazione e di una moneta propria, di spazi occupazionali propri, e viene dissanguata economicamente alla velocità finanziaria di almeno 4.000 miliardi l'anno. Ecco i motivi di una riflessione storica, etica, socio-economica e politica che, al di là di tutte le ideologie con le quali si tenta di distrarre un popolo sottomesso, radica invece ogni giorno di più nella coscienza di ogni onesto Siciliano la necessità della lotta di liberazione. I Siciliani vogliono la Libertà e l'Indipendenza.
Asservimento economico e politico.
L'energia elettrica.
Il petrolio ed il metano.
Le entrate tributarie.
La Petrolchimica e i fertilizzanti.
Le valute pregiate.
I depositi bancari dei Siciliani.
Il danno della Regione.
Colonia!
Alla colonia Sicilia non resta che l'emigrazione forzata di tutti i suoi figli, perché di fatto le è vietato una " propria " industria di base, una propria riserva valutaria, una programmazione economica propria, una strutturazione industriale e socio-economica propria, qualsiasi tentativo di finalizzare la crescita economica di questo popolo in termini globali di civiltà e di libertà.
Fino a quando noi non avremo la nostra libertà politica, vivremo come gli Arabi della Palestina invasa.
L'avvenire dei Siciliani è precluso da un sistema politico e industriale straniero e di rapina, che, come tutti i sistemi colonialisti della storia, non può proporsi per la colonia Sicilia i vari problemi della maggiore occupazione operaia, del reinvestimento sul posto dei profitti estorti ai colonizzati delle incentivazioni tecniche e creditizie alle industriette sussidiarie "locali",
e tutti quegli altri problemi socio-economici la cui soluzione, mirando ovviamente alla crescita della qualità della vita delle nostre più giovani generazioni, è in assoluto contrasto con la mentalità, con gl'interessi e con la morale politica dell'attuale sistema della dominazione coloniale dell'Isola.
I dati riportati in questo articolo non sono aggiornati alla data della pubblicazione, cioè l'anno 2020.
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