STORIA DELLA
SICILIA ANTICA |
TAVOLA CRONOLOGICA DEI PRINCIPALI AVVENIMENTI
Gli insediamenti fenici alle isole Eguse, a Cossyra,
a Motya, a Lilibeo, a Drepano, a Ziz, a Soleis, a Catana e nell'estremità
sud-est dell'Isola, non sono ancora databili che per larga ed incerta
approssimazione, appartenendo al periodo della protostoria: XI-X secolo a. C:
LA
SICILIA è da sempre un microcosmo: un mondo composito nel quale popoli di
razza, religione e lingua diversa si sono scontrati ed incontrati, lasciando
nell'isola una stratificazione di presenze quanto mai significative. Dalla
preistoria ad oggi si può dire che questa facies non ha subito modificazioni
importanti. L'avvicendamento o la compresenza delle maggiori forze politiche
operanti nell'area del Mediterraneo ha movimentato la storia della Sicilia,
costruendole un variegato e singolare apporto e scambio di civiltà che ancora
oggi ne connota la società ed i monumenti. Dai primi abitatori, Sicani e
Siculi, di incerta provenienza, ai Greci ed ai Fenici, fra i quali stava
costretta Qui,
infatti, vennero a diretto contatto le due grandi potenze che dominarono il
bacino mediterraneo e che crearono i grandi imperi talassocratici. L'espansione
greca che seguì una direttrice più settentrionale, approdò sulle coste
orientali dell'isola e fondò colonie, come Catania, Siracusa, Gela ed
Agrigento, che svilupparono una propria politica ed una propria cultura. I
tiranni di Siracusa, soprattutto al tempo di Dionigi il Vecchio, tentarono la
conquista di tutta l'isola, confrontandosi con l'altra potenza mediorientale,
la Punica, che da Cartagine aveva consolidato la sua presenza nell'isola, con
gli insediamenti di Mozia, Lilibeo, Erice, Panormo e Solunto. Gli scontri ai
confini delle rispettive aree d'influenza si ebbero a Selinunte, al Sud, e ad
Himera al nord ( Nella
realtà la presenza greco-cartaginese perdurò sino a quando sul Mediterraneo si
affacciò Roma. Furono i Romani che sottomisero le colonie greche e che con le
guerre puniche acquisirono anche quella cartaginese. Da allora l'isola seguì le
vicende della crescita della potenza di Roma, divenendone una provincia
indispensabile per la politica e per l'economia della Repubblica e dell'Impero. Le
rivolte servili ed i saccheggi del pretore Verre, denunciati da Cicerone,
furono, fra il II ed il I sec. a.C., i momenti salienti della dominazione
romana in Sicilia. Quando l'Impero declinò e sull'Occidente europeo si
abbatterono i barbari, l'isola risentì subito le ripercussioni della
trasformazione radicale che maturava in quella realtà nuova, la Romània, erede
della Romanità. Il
momento barbarico della Sicilia va dal 440 al 535: da quando cioè, il capo dei
Vàndali, Genserico, occupata la provincia d'Africa e padrone di una flotta,
impose la sua potenza egemonica in tutto il Mediterraneo occidentale. La
Sicilia, pertanto, rimase sotto il dominio vandalico, sino al 476, quando
divenuto Odoacre re dell'Italia, dopo aver deposto l'ultimo imperatore romano
d'Occidente, Romolo Augustolo, il re dei Vàndali gli cedette a certe condizioni
la Sicilia, ad eccezione dell'enclave di Lilibeo. Dopo l'esperienza odoacriana,
l'isola passò in mano ai Goti, quando Teodorico il Grande, subentrò al re degli
Eruli nel regno barbarico d'Italia (495). E si può ben dire che la Sicilia
barbarica visse un momento di grande tranquillità e di certa prosperità. Questa
venne interrotta, allorquando Giustiniano, imperatore d'Oriente, tentò di
ricostituire l'integrità territoriale dell'antico "imperium romanum". Conquistato,
senza grandi difficoltà l'impero vandalico d'Africa (534), il generale di
Giustiniano, Belisario, occupò la Sicilia, che gli serviva come base per la
riconquista della penisola italiana. La campagna militare per l'occupazione di
tutta l'isola fu quanto mai rapida (535), dato che erano poche le guarnigioni
gotiche e, comunque, non in grado di contrastare l'avanzata del corpo di
spedizione bizantino. Il processo di bizantinizzazione permeò di apporti
orientali la vita isolana, consentendo però una sopravvivenza dell'elemento
latino indigeno. Cultori
e letterati prosperarono in Sicilia, come i papi Agatone, Leone e Sergio, e
Giorgio di Siracusa. Una cultura che continuò a vivere anche dopo l'occupazione
musulmana dell'isola e che ebbe a rappresentanti di rilievo gli innografi San
Metodio e San Giuseppe l'Innografo. L'
827 segnò il momento dello sbarco musulmano a Mazara, che preluse alla
conquista di tutta l'isola, in pratica sempre più lontana dalla vita
dell'Impero d'Oriente e ormai ritenuta terra d'esilio e di deportazione.
Nell'831 cade Palermo, nell'865 Siracusa e solo molto più tardi le ultime roccaforti
della resistenza bizantina. L'organizzazione
dell'emirato fece centro su Palermo, che divenne la nuova capitale dell'isola
soppiantando Il
ritorno della Sicilia all'Occidente si ebbe con i Normanni, con quegli avventurieri
che calati nell'Italia meridionale bizantina, si erano a poco a poco
impadroniti della Puglia, della Basilicata, della Campania e della Calabria e
che, con Roberto il Guiscardo tentarono di conquistare lo stesso impero
orientale. Nella
fase della grande espansione normanna, per la Sicilia si concepì una
precrociata che avrebbe scacciato gli infedeli musulmani dal centro del
Mediterraneo. L'impresa condotta dal più giovane dei fratelli Altavilla,
Ruggero, con l'appoggio del capo carismatico Roberto il Guiscardo, durò
trent'anni (1061-1091). Con fasi alterne e con l'appoggio di Ibn Tymnah, alla
fine i Normanni entrarono a Palermo (1071), che rimase capitale della contea. Còmpito
dei nuovi conquistatori fu quello di creare le strutture del nuovo Stato:
amministrative, finanziarie, feudali, religiose, approfittando, anzi sfruttando
le competenze delle varie etnie presenti nell'isola al momento della conquista. L'età
normanna in Sicilia significò un irripetibile momento magico, per le conquiste
e per le creazioni artistiche e letterarie. Politica
e cultura convissero per il costante impegno mecenatico dei sovrani normanni,
che con Ruggero II (1101-1154) avevano ottenuto anche l'incoronazione regia. Se
nel campo delle arti per l'epoca ruggeriana, primeggiano monumenti eccelsi,
quali Il
declino del regno normanno aprì le porte alle aspirazioni imperiali degli
Svevi. Il matrimonio di Costanza D'Altavilla con Enrico VI, figlio
dell'imperatore Federico I Barbarossa, consentì la discesa in Sicilia di
Enrico, la sua incoronazione a Palermo e lo sterminio degli ultimi epigoni
della dinastia normanna siciliana. Ma
il marito di Costanza non poté godersi a lungo il possesso del regno
meridionale, essendo morto nel L'età
sveva trovò il suo grande esponente in Federico II (1196-1250), nato da
Costanza ed Enrico. Il nuovo re di Sicilia, che nel 1220 venne eletto
imperatore, fece dell'isola la base della sua politica imperiale.
Alla
sua morte (1250), il regno meridionale passò al figlio Corrado IV e, nel Alla
sua morte, esecrata dal papato e dai suoi avversari europei, la corona venne
data a Carlo d'Angiò, fratello di Luigi IX il Santo, re di Francia. E col
pretendente francese si confrontarono prima Manfredi, che venne eliminato nella
battaglia di Benevento (1266) e poi il piccolo Corradino, sconfitto a
Tagliacozzo e fatto decapitare dall'Angioino (1268). Ma la dominazione angioina
nel regno di Sicilia, che avrebbe dovuto spianare a Carlo I la via per la
conquista dell'Impero d'Oriente, fu mal sopportata dai Siciliani, che non
seppero adattarsi all'arroganza dei nuovi signori. La
rivoluzione del Vespro, scoppiata a Palermo il 31 marzo 1282, determinò ben
presto lo sterminio dei francesi e la cacciata degli Angioini dall'isola. Al
proprio sovrano i Siciliani scelsero Pietro III d'Aragona, che aveva sposato
Costanza figlia di Manfredi. Con
questa scelta si aprì un lungo periodo di guerre continue col regno angioino di
Napoli e, alla fine, la guerra civile, scatenata nell'isola dalle grandi famiglie
baronali, quali i Chiaramonte, Ventimiglia, Rosso, Aragona, Peralta, ecc. Il
processo di declino del regno aragonese di Sicilia che investe i regni di
Pietro II (1337-1342), di Ludovico (1342-1355) e di Federico IV (1355-1377),
trovò il suo sbocco in una riconquista aragonese dell'isola, che venne
realizzata da Martino l'Umano, per conto del figlio, anche lui di nome Martino,
al quale era stata data in moglie Martino
il Giovane (1392-1409) ebbe a sostenere una lunga lotta contro l'indomabile
baronaggio siciliano ed, alla fine, perdette la vita in Sardegna, dove si era
recato, per conto del padre re d'Aragona, a domare un'ennesima sollevazione dei
Sardi. Era rimasta in Sicilia a tenere il potere come vicaria, Bianca di
Navarra, seconda moglie del giovane Martino. E contro di lei, alla morte di
Martino il Vecchio, che era succeduto al figlio in Sicilia (1410), si era
scatenato il grande ammiraglio del regno, Bernardo Cabrera. La
nuova guerra civile, che travagliò l'isola per alcuni anni, fece scadere il
regno a viceregno, quando sul trono d'Aragona venne eletto, a Caspe, Ferdinando
d'Antequera. Bianca venne richiamata alla corte iberica ed in Sicilia fu
inviato come viceré Giovanni duca di Penafiel. Per evitare pericoli
autonomistici dei Siciliani, Alfonso V il Magnanimo (1416-1450) diede inizio ad
una serie di viceré scelti da lui con oculatezza. Re Alfonso, che fu in Sicilia
nel 1320, nel suo viaggio alla conquista del regno napoletano, seppe sfruttare
con spregiudicatezza le risorse finanziarie dell'isola in favore della sua
politica mediterranea e, soprattutto, di quella italiana. Con la morte del
Magnanimo si aprì l'epoca spagnola, dato che il re napoletano volle che i due
regni di Sicilia venissero divisi e che quello isolano fosse unito alla corona
d'Aragona. Era anche il momento in cui maturava In
una tale ottica la storia di Sicilia del primo Cinquecento venne adeguata alla
nuova funzione di punto di forza sia contro i Turchi che contro i pirati
barbareschi. Le fortificazioni che la cinsero, torri e castelli, l'aumento
delle guarnigioni e la scelta dei viceré obbedivano a questa fondamentale
istanza. Non a caso nel 1535 Carlo V desiderò visitare l'isola ed entrare
trionfalmente a Palermo. Nel
Seicento nella Sicilia spagnola, che vide il trionfo dell'effimero in campo
artistico, si aggravò la situazione economica, dato che le carestie resero
deserte le campagne e la fame dilagò per le grandi città. Una sollevazione si
ebbe a Messina (1646), ma diversa ampiezza e risonanza ebbe quella scoppiata a
Palermo l'anno successivo. La folla assalì il palazzo di città, liberò i
prigionieri della vicaria e compì altri eccessi. Se questa rivolta poté essere
domata dal viceré Los Velez, che fece impiccare il capo, Nino La Pelosa,
maggior successo ebbe quella, che immediatamente seguì, delle maestranze
artigiane palermitane, capeggiata da Giuseppe D'Alesi. Questi, dopo la cacciata
del viceré, fu eletto capitano generale e tentò l'instaurazione di un governo
popolare. Fece abolire privilegi e gabelle e fece eleggere tre giurati popolani
e tre nobili. Ma Giuseppe D'Alesi venne ucciso il 22 agosto 1647, abbandonato
da tutti.
Il
trattato di Utrecht (1713) assegnò la Sicilia al duca di Savoia Vittorio Amedeo
II, che in quello stesso anno raggiunse Palermo. Nel 1714 si fece votare due
donativi dal parlamento, per poi ripartire per il Piemonte, carico di beni ed
accompagnato da uomini di cultura, come l'architello Juvara. Lasciò come viceré
il conte Maffei, che dovette affrontare la campagna del cardinale Alberoni, che
voleva riportare con la forza la Sicilia sotto La
Sicilia si attendeva dal nuovo sovrano la soluzione dei suoi molti problemi; in
realtà, Carlo III avvertì le istanze dei Siciliani e con una intelligente
politica riformista tentò di sollevare i suoi sudditi isolani dalle condizioni
di estrema miseria in cui versavano. L'ondata
riformistica non s'interruppe col passaggio di Carlo sul trono di Spagna alla
morte di Ferdinando VI (1759) e con la cessione del regno delle due Sicilie al
figlio Ferdinando, perché in Sicilia giunse come viceré Domenico Caracciolo, un
innovatore intelligente, seguace delle teorie illuministiche francesi. Egli,
infatti, attuò riforme contro i privilegi del baronaggio e soppresse il
famigerato Tribunale dell'Inquisizione (1782). Ma l'epoca del Caracciolo fu
anche quella in cui si andò aggravando il distacco della Sicilia da Napoli, con
contrasti che investirono la stessa monarchia borbonica, che non poteva a sua
volta tollerare le spinte autonomistiche siciliane. Se,
infatti, i principi della rivoluzione francese trovarono vivaci resistenze,
tuttavia il giacobinismo penetrò nell'isola attraverso La
delusione per l'atteggiamento di re Ferdinando permase anche quando per due
volte il monarca napoletano fu costretto dagli avvenimenti a rifugiarsi in
Sicilia: nel 1798, quando venne proclamata la repubblica partenopea, e nel 1806
dinanzi al pericolo napoleonico. Ferdinando, infatti, piuttosto che esaudire i
desideri autonomistici dei Siciliani, si servì dell'isola solo per la
riconquista del Napoletano. Tuttavia,
con l'appoggio inglese ed in particolare di lord Bentink, la Sicilia ottenne
una Costituzione, esemplata sul modello inglese da Paolo Bàlsamo, che venne
approvata dal parlamento il 19 luglio 1812 e sanzionata dal re il 10 agosto. Il
testo costituzionale ribadiva l'indipendenza della Sicilia da Napoli, la
distinzione dei tre poteri e definiva il parlamento bicamerale, con una Camera
dei Pari ed una dei Comuni. Ma la costituzione venne rinnegata da Ferdinando
quando il Congresso di Vienna (1816) gli confermò la corona delle due Sicilie. Il
malcontento antiborbonico si configurò nella penetrazione della Carboneria in
Sicilia, diffondendosi nella borghesia e nel clero. I moti del 1820 furono
repressi con la forza militare; così che il ripristino dell'assolutismo portò
ad una intensificazione dell'azione dei carbonari. La sollevazione capeggiata
da Domenico Di Marco e le altre di Siracusa e Catania, scoppiate durante il
colera del 1837, non ebbero esito e furono soffocate dal generale Del Carretto. Ma
ormai si era creato il presupposto con le idee e con la stampa per una
rivoluzione di massa. I moti del 1848, capeggiati da Giuseppe La Masa a
Palermo, dilagarono per tutta la Sicilia: Il Parlamento Siciliano si riunì per
l'ultima volta il 19 aprile 1849 e aggiornò i suoi lavori all'1 agosto. Ma
poiché la resistenza dei 14.000 uomini della male armata e mal diretta Guardia
Nazionale venne travolta dalle preponderanti forze svizzero-napoletane guidate
dal generale e principe di Satriano Carlo Filangieri, anche Palermo, dopo
alcuni giorni di eroica difesa popolare cadde il 10 maggio in mano al nemico,
il quale restaurò così lo statu quo ante del suo regime repressivo di
ogni libertà. La
restaurazione borbonica fu travagliata da cospirazioni che ne minavano
l'attività: come quella di Nicolò Garzilli (1850), come gli arresti di
Salvatore Spinuzza e di Francesco Bentivegna (1853), come la spedizione da
Malta promossa da Giovanni Interdonato.
Se desiderate informazioni, mandateci una E-mail Indirizzo
Web
Tutti i diritti sono riservati-Copyright 1996/2024 © Centro Studi Storico-Sociali Siciliani Catania Tutto il materiale presente in questo sito è riservato. L'uso, l'utilizzo e il transfert sono soggetti ad autorizzazione. Dichiarazione ai sensi della Legge 7 marzo 2001, n. 62
Questo sito non è un "prodotto editoriale diffuso al pubblico con periodicità regolare", poiché gli aggiornamenti sono effettuati senza scadenze predeterminate o regolari e consistono in sole migliorie, approfondimenti, aggiunte a quanto già pubblicato e non costituiscono un rinnovamento completo del sito stesso.
|