Bellissimo pastore siculo, figlio di FAUNO
e della ninfa SIMETE. Di lui s'invaghė
la ninfa GALATEA,
già amata dal ciclope POLIFEMO;
costui accecato dalla gelosia scagliò un enorme masso contro il rivale, schiacciandolo. Il sangue colato da sotto quel masso si trasformò
in acqua, dando origine a un fiume della Sicilia che da Aci prese il nome.
( Cfr. Ovidio, Metamorfosi, XIII.)
Storia di Polifemu |
Storia di Aci e Galatea (in allestimento) |
Mitologia siciliana |
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Antichissimo dio italico, protettore dei boschi, della campagna e degli armenti, figlio di Pico Marzio e nipote di Saturno; come il padre ebbe il dono della profezia e come profeta era chiamato Fatuelus; sposò la ninfa Marica e con lei generò Latino. Fauno ebbe l'epiteto di Luperco perchè aveva il potere di allontanare i lupi dal gregge; in suo onore si celebravano le feste Faunalia o le Lupercalia. Più tardi Fauno fu confuso col dio greco Pan.
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Leggiadra ninfa, figlia di Nereo e di Doride; respinse l'amore del ciclope Polifemo perchè innamorata del giovane Aci. Scoperti i due amanti in tenero atteggiamento, il Ciclope, scaraventò un masso contro il rivale, schiacciandolo. Secondo un'altra versione Galatea, per salvare l'amante, accondiscese a sposare il Ciclope e con lui generò un figlio, Galas o Galato.(Cfr. Teocrito,Idilli,XI) IconografiaRitorna alla pagina MitologiaPOLIFEMO (mitologia romana) |
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Il più celebre dei Ciclopi, figlio di Poseidone e della ninfa Toosa. Dimorava in una caverna nell'isola dei Ciclopi (Sicilia). Ulisse, tornando da Troia, naufragò coi suoi compagni su quelle spiagge e, scoperto l'antro del ciclope Polifemo, lo esplorò e attese il suo ritorno; all'imbrunire il mostro rientrò e, sistemati i suoi armenti nella grotta , chiuse l'entrata con un enorme masso, così che Ulisse e i suoi rimasero bloccati dentro. Accortosi degli intrusi, Polifemo divorò sei dei compagni di Ulisse e a quest'ultimo che, interrogato dal mostro, aveva detto di chiamarsi Nessuno, promise di mangiarlo per ultimo. Vista preclusa ogni via di scampo, Ulisse escogitò un piano di evasione famoso in tutta la mitologia greca: aguzzò un grosso tronco d'ulivo e l'arroventò nel fuoco; poi, mentre il Ciclope,dopo d'aver munto le pecore e le capre e aver divorato due dei compagni di Ulisse, ubriaco per il vino fattogli bere da Nessuno, dormiva, glielo cacciò nell'unico occhio che aveva in mezzo alla fronte e l'accecò. Ulisse dicendogli di chiamarsi Nessuno si sottrasse alla vendetta degli altri Ciclopi i quali, invocati in soccorso da Polifemo e accorsi, fuori della spelonca, avendogli domandato se qualcuno gli avesse usato violenza ed essendosi sentiti rispondere che nessuno, con inganno, cercava d'ucciderlo, se ne andarono, dopo di averlo consigliato di invocare il padre Nettuno. Ora, restava ad Ulisse il difficile compito di uscire, coi compagni che gli erano rimasti, dalla spelonca della quale il ciclope sorvegliava l'ingresso, ostruito da un enorme macigno: ma non gli venne meno neanche allora l'usata scaltrezza. Egli prese, senza far rumore, i più grossi montoni e legatili con vimini, tre per tre, fece aggrappare alle lane del ventre di quello di mezzo ciascuno dei suoi compagni e poterono salvarsi uscendo al mattino aggrappati alle pance villose degli arieti. Polifemo li inseguì brancolando e urlando di dolore ; scaraventò enormi massi in mare, in direzione delle loro navi e pregò suo padre Poseidone di non far giungere Ulisse in patria. Prima di essere accecato, Polifemo aveva amato la ninfa Galatea. Ritorna alla pagina MitologiaPolifemu (mitologia greca) Polifemo |
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Polifemu era un omu grossu ammàtula Polifemo era un uomo grosso invano chi cu la testa tuccava li nuvuli, che con la testa toccava le nuvole. ed era amanti di certa curàtula, ed era amante di certa massara, ch'avia lu cori duru comu rùvuli; che aveva il cuore duro come rovere; Galatia, duci chiù di na nacàtula, Galatea, dolce più d'un pasticciotto, chi senz'isca, carvuni, e senza prùvuli, che senz'esca, carbone, e senza polvere, c'infusi arduri accussì forti e strànii, gl'infuse ardori così forti e strani, chi lu furzau a sdari ntra li smanii. che forzò a dare in ismanie. Chiù non ci spércia jiri
a la putia
Più non si cura di andare alla bottega
A guardàrilu era
cosa d'allucchiri,
A guardarlo era cosa da intontire,
Comu un tirrenu chinu di
pirreri
Come un terreno cosparso di pietre
Era lu nasu quantu un bastiuni,
Era il naso quanto un bastione,
D'un chiuppu sbacantatu s'avia
fattu
D'un pioppo svuotato s'era fatto
Giuvanni Meli
Giovanni Meli
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CSSSS......se si parla di Sicilia. |