Centro Studi Storico-Sociali Siciliani
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LE VOSTRE LETTERE


* Elenco di alcune lettere giunte in redazione *

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Quanto liberamente espresso dagli Autori delle lettere pubblicate a titolo gratuito, non è indicativo circa la linea d'opinione editoriale del CSSSS.

COMPRA SICILIANO

    

LA SICILIA: REGIONE O "COLONIA" D'ITALIA

Come tutti sanno, la Sicilia è diventata "Regione a statuto speciale" il 15 maggio 1946, in altre parole quando l'Italia era ancora un Regno, e non una Repubblica; e il suo decreto istituzionale non fu firmato da un Presidente della Repubblica, bensì dal principe Umberto di Savoia, Luogotenente del Regno d'Italia per il padre Vittorio Emanuele III. Questa priorità storica della "Regione Siciliana" è dimostrata proprio dalla sua denominazione, che adoperava l'aggettivo "Siciliana", mentre tutte le altre regioni italiane vengono contrassegnate dal proprio sostantivo, per questo abbiamo la "Regione Lazio", la "Regione Puglia", e così via. Il decreto-legge relativo, approvato il 15 maggio 1946 con la legge n. 455, fu pubblicato sulla "Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana" del 10. giugno 1946; e risulta composto da 41 articoli, di cui, purtroppo, i più importanti e i più determinanti, o non sono stati mai applicati, oppure sono caduti nel dimenticatoio, dopo una temporanea applicazione.
È stupefacente costatare come lo Statuto Regionale Siciliano sia stato progressivamente svuotato di valore e di significato, proprio nelle sue principali prerogative. Infatti:
1) L'art. 25 prescriveva che, in Sicilia, fossero abolite le province con i loro organi amministrativi; e che al loro posto fossero istituiti i "Liberi Consorzi di Comuni". Questo articolo non è stato mai applicato e tutto è rimasto come prima.
2) L'art. 21 disponeva che il Presidente della RS partecipa con rango di Ministro al Consiglio dei Ministri, con voto deliberativo nelle materie che interessano la RS. Questo articolo non è stato mai applicato e quando recentemente il Presidente Giuseppe Provengano tentò di farlo valere, gli furono letteralmente chiese le porte in faccia.
3) L'art. 24 prevede l'intervento giuridico di una Alta Corte di Giustizia, per decidere della costituzionalità delle leggi riguardanti la Sicilia ed emanate tanto dallo Stato, quanto dalla Regione stessa. Questa Alta Corte fu Costituita e funzionò per qualche tempo, ma poi scomparve senza lasciare traccia.
4) L'art. 31 disponeva che il Presidente della Regione Siciliana fosse il "Capo della Polizia di Stato nell'ambito della Regione", con il diritto di decidere la rimozione dei funzionari di polizia in Sicilia o il loro trasferimento fuori della Sicilia, ma questo articolo non è stato mai applicato,
5) L'art. 38 dispone che lo Stato "verserà annualmente alla Regione Siciliana, a titolo di solidarietà nazionale, una somma da impiegarsi in lavori pubblici. Questo articolo funzionò per qualche tempo; poi, non se ne è saputo più nulla.
6) L'art. 40 dispone l'istituzione per il Banco di Sicilia di Palermo, di una "Cassa di Compensazione", allo scopo di destinare ai bisogni della Regione Siciliana le valute estere, provenienti dalle esportazioni siciliane, dalle rimesse degli emigranti, dal turismo e dal ricavo dei noli di navi iscritte bei compartimenti siciliani. Questo articolo non è stato mai applicato.
Come si vede, nessuno degli articoli, veramente determinante per lo sviluppo e per l avita stessa della RS risulta oggi applicato e lo Statuto Regionale risulta quindi svuotato di reale efficacia, degradandosi ad inutile e derisorio "pezzo di carta". Ma c'è di più. Nel suo oltre mezzo secolo di vita, dal 1946 ad oggi; la "Regione Siciliana a statuto speciale" non è riuscita: - A completare l'autostrada A 20 (Palermo - Messina), che da oltre trent'anni è interrotta nel notevole tratto che va da Sant'Agata di Militello (Messina) a Cefalù (Palermo), con gravi disagi per il turismo e per i trasporti. - A far funzionare il "Casinò di Taormina", autentico polmone per il turismo e per l'economia siciliana, che è stato chiuso "per ragioni morali, dato che si trattava di gioco d'azzardo", mentre in Italia funzionano allegramente ben cinque Casinò: due a Venezia ed uno ciascuno a San remo, a Saint Vincent e a Campione d'Italia. - A garantire l'attività autonoma degli istituti bancari siciliani, che sono stati tutti accorpati, e cioè assorbiti da istituti bancari del Nord (anche piccole banche locali, anche la Banca del Monte S. Agata" di Catania, o la "Cassa di San Giacomo" di Caltagirone, o la "Banca Santa Venera" di Acireale, sono diventate tutte filiali del "Credito Valtellinese". (Se fosse avvenuto il contrario, ci potete scommettere che si sarebbe parlato di "mafia".) - Ad assicurare alla Sicilia, che produce e raffina il 70 per cento della benzina italiana, i privilegi fiscali di cui, in questo campo, gode la Val d'Aosta, che di petrolio non ne produce, e non ne raffina nemmeno una goccia e lascia volentieri l'inquinamento alla Sicilia. - A creare una "coscienza regionale" in Sicilia, perché la Sicilia è l'unica regione "a statuto speciale" a non avere nelle sue scuole elementari e medie un insegnamento di "Cultura Regionale " e vale a dire storia, economia, geografia, letteratura e folklore regionali, che invece esiste, e dal 1958, dalla terza elementare alla terza media nelle altre quattro regioni "a statuto speciale", e cioè in Sardegna, in Val d'Aosta, in Trentino-Alto Adige e in Friuli-Venezia Giulia.(...)
Da quanto ho sopra specificamente documentato, è sorta in me la convinzione che la Sicilia non è affatto una regione, ma soltanto una colonia d'Italia e sarò lieto di essere smentito.

Santi Correnti - Direttore Onorario dell'Istituto Siciliano Di Cultura Regionale - Catania

    

Messina: Un ponte pieno di problemi

È il Ponte sullo Stretto di Messina. Sarebbe il ponte sospeso più lungo del mondo, ma molte sono le ragioni degli oppositori. Una sintetica panoramica: il rischio sismico, i costi spropositati, le opere di contorno più impegnative del Ponte stesso, gli incerti vantaggi. Le alternative fantasiose e quelle assai realistiche e fattibili. L' idea di costruire un ponte sullo Stretto di Messina che unisca la Sicilia alla Calabria e quindi all’Italia continentale ha da sempre affascinato la fantasia di molti. Sono storicamente provati alcuni tentativi dei Romani durante le guerre puniche, l’interessamento di Carlo Magno nel IX secolo che pensava ad una serie di ponti fatti di barche, i tentativi di Roberto il Guiscardo nell’XI secolo, stroncato dalla morte improvvisa dell’uomo che pose mezza Italia sotto il dominio dei Normanni, e l’interessamento persino degli inglesi: John di Salisbury fece alcune esplorazioni sopra e sotto le acque dello Stretto su incarico di Ruggero II re di Sicilia attorno al 1140.
Molto più prosaicamente e senza il fascino letterario e romantico dell’antico, oggi, nelle sedi dei Ministeri dei Lavori Pubblici e del Tesoro giacciono undici volumi di carte relative al progetto del Ponte sullo Stretto, per complessive 15.575 pagine e due quintali di peso. Tutto ciò finora è costato alle casse dello Stato Italiano circa 130 miliardi di lire (60 milioni di dollari); cifra che continua a salire visto che dall’11 giugno del 1981 è stata costituita la Stretto di Messina S.p.a. (definita “concessionaria di Stato”) con un capitale sociale ripartito tra IRI, ANAS, Ferrovie dello Stato e Regioni Sicilia e Calabria; tutti enti pubblici e società già di proprietà dello Stato ora in via di contestata e parziale privatizzazione. Chi paga per l’ordinaria amministrazione di questa società che esiste anche se il ponte non si dovesse mai fare? Direttamente o indirettamente paga sempre lo Stato italiano.
La progressione verso la costruzione del ponte sullo Stretto in epoca “moderna” dura comunque da prima del 1981 e sembra essere lenta e inesorabile. Nel 1969 era stato bandito un “concorso internazionale di idee” al quale parteciparono 143 concorrenti. Dodici furono i progetti prescelti che comprendevano oltre a nove ponti anche due soluzioni in acqua e una sotterranea. Una legge del ’71 preferì la soluzione ponte. Nel ’97 il progetto di massima venne presentato e approvato dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici. Tra poco si dovrebbe passare al progetto esecutivo.
Questa progressione lenta e inesorabile è anche molto silenziosa. Del Ponte non si è mai parlato apertamente, forse per un certo qual comprensibile “pudore”, anni fa, in tempo di crisi economica. Oggi non se ne parla perché, paradossalmente, sembra essere più possibile la sua realizzazione. E si desidera continuare a lavorare “in immersione”, forse per non dare nell’occhio e giungere senza problemi ad un punto di non ritorno. Chi ne parla sempre più frequentemente sono invece i politici (specie quelli locali, ma anche i nazionali non scherzano) che “cavalcano una tigre” che ha un grande appeal popolare.
Ma dietro all’attrattiva della “grande opera”, dietro al fascino seducente di quello che potrebbe essere il ponte sospeso più lungo del mondo, oltre al desiderio di lasciare un segno nella storia da parte di alcuni uomini pubblici, si cela una serie di problemi di dimensioni immani, di controindicazioni, di consigli a non procedere basati sul buon senso e sull’esperienza di esperti e tecnici. Si cela, insomma, il fronte del no al ponte sullo Stretto. Vi proponiamo un breve itinerario attraverso le ragioni del no.

Il rischio sismico

I costi del ponte, i tempi di lavorazione, la sismicità della zona, le opere accessorie inevitabili, i rischi ambientali, i punti deboli del ponte una volta costruito, le prospettive occupazionali, la sorte delle cittadine che gravitano nelle zona, le proposte alternative. Tutto ciò si mescola nelle risposte di chi dice no al ponte, condito dall’eterno dilemma della “questione meridionale” irrisolta. Andiamo con ordine. L’area è soggetta ad elevatissimo rischio sismico, ci dice Antonio Moretti, Docente di Geologia Regionale all’Università della Calabria. E’ come scoprire l’acqua calda, dopo il terribile terremoto che nel 1908 distrusse Messina. Ma l’area è anche soggetta ad un movimento lento relativo tra le due rive di qualche metro ogni secolo, cui si deve eventualmente sommare uno scorrimento improvviso in caso di terremoto. E’ probabile, viste le infinite risorse degli ingegneri che queste difficoltà siano tecnicamente superabili, ma non so se lo sarebbero altrettanto dal punto di vista psicologico per gli utenti. Moretti poi ci confida: Ho partecipato da borsista alle ricerche sulla pericolosità sismica dello Stretto su incarico della società Stretto di Messina. Ovviamente l’incarico non era rivolto a me ma ad una rosa di docenti universitari di chiara fama, geologi, sismologi, ingegneri, ecc. L’impressione che ne abbiamo avuto allora è che alla Società interessasse avere solo il nome dei ricercatori partecipanti e non il risultato delle ricerche. In seguito ho continuato a lavorare sull’area calabrese come ricercatore del Consiglio Nazionale delle Ricerche nel Gruppo Nazionale per la Difesa dai Terremoti e della Società Stretto di Messina non si è più sentito parlare per anni né mai ho incontrato un loro “esperto” che partecipasse a seminari o convegni sull’argomento.

Gli altri collegamenti

Per coprire in treno (su binario unico) il tragitto Messina Palermo (231,17 chilometri) si impiegano tre ore e mezza, alla velocità media di 66,04 chilometri all’ora. Il Ministro dei Lavori Pubblici Nerio Nesi ha recentemente definito l’autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria “indecente”; e questa estate sul tratto Battipaglia-Eboli della A3 è stato istituito il senso unico di marcia a giorni alterni, fatto unico al mondo per un’autostrada di importanza nazionale. Allo stato attuale dei collegamenti, aggiungendo il Ponte sullo Stretto, un auto o un camion dalla Sicilia a Milano risparmierebbe, su venti ore di viaggio, meno di un’ora, ci dice Giovanni Sulsenti, ingegnere civile siciliano specializzato in trasporti, urbanistica e sistemi informativi territoriali. In una scala di priorità, continua, molte cose andrebbero fatte prima del Ponte, rimanendo sempre nel campo delle comunicazioni. Ad esempio aeroporti e porti, ferrovie e autostrade, i collegamenti telefonici per il mondo Internet. Il problema non è se fare o non fare il Ponte, ci dice Roberto Sauerborn, architetto, siciliano, Consigliere della Provincia Regionale di Messina (Credo che è un’esperienza che non tenterò di ripetere). Piuttosto risolvere il nodo delle comunicazioni di merci e persone da e per la Sicilia. Ormai esistono due partiti, “pro” e “contro” il Ponte, e non si riesce a vedere altre soluzioni. Il Ponte è divenuto il soggetto della questione. Ha preso il posto della ricerca della soluzione al problema di strutturazione del territorio.

I costi del Ponte

Il Ponte costerebbe 5.040 miliardi di lire (2.500 milioni di dollari), i collegamenti con le reti viari e ferroviarie esistenti altri 2.103 miliardi (1.050 milioni di dollari). Secondo la Società dello Stretto sarebbero totalmente autofinanziati. Ma non dice come. Il Presidente della Regione Calabria Chiaravallotti e l’Assessore ai Lavori Pubblici Misiti sono convinti che un prestito obbligazionario di 10.000 miliardi verrebbe sottoscritto nel giro di un’ora dagli emigranti calabresi e siciliani all’estero. Nostre fonti dell’emigrazione calabrese in Europa affermano il contrario: Assessore e Presidente avrebbero qualche problema. E poi le cifre fornite dalla Società dello Stretto sarebbero “fantasiose” secondo Vincenzo Crea, esperto ingegnere calabrese laureato al Politecnico di Milano, già titolare di un’impresa di costruzioni, oppositore ante litteram del Ponte: Solo il Ponte finirà per costare qualcosa come 10.000 miliardi (5.000 milioni di dollari) (o forse anche il doppio, chissà); ma sono le opere di contorno, essenziali e indispensabili, che farebbero lievitare i costi a 80/100.000 miliardi di lire (40/50.000 milioni di dollari). Forse i raccordi per le auto saranno più facili, ma per portare la ferrovia ai cento metri di altitudine del Ponte (visto che i treni non possono superare certe pendenze), dalla parte calabrese bisognerebbe allargare i lavori a 40 chilometri prima dell’inizio del Ponte. Con i costi conseguenti.

L’occupazione e i porti

Il cantiere occuperebbe per gli otto anni di lavoro previsti 4.600 persone l’anno, l’indotto occupazionale sarebbe di 9.250 unità l’anno. Per l’esercizio e la manutenzione dell’opera ultimata sarebbero impegnate 500 persone più un indotto di altre 450 che assorbirebbe gli impiegati nei traghetti che andrebbero a scomparire. Il saldo positivo dopo otto anni di lavori, se ben comprendiamo, sarebbe di 500 nuovi posti di lavoro…. D’altro canto cosa succederebbe al porto di Messina e al collegato porto di Milazzo, che paradossalmente sono in espansione ? A Messina il traffico maggiore è di traghetti: Un milione di autotreni trasportati ogni anno, due milioni e mezzo di auto, 13 milioni di turisti e 200.000 turisti per le isole Eolie, dice il Presidente dell’Autorità Portuale Giuseppe Vermiglio. Stiamo realizzando un terminal “multipurpose” adiacente a quello delle Ferrovie, con cui siamo in procinto di avviare un’intesa: alla fine avremo un terminal ferro-gomma di 130 mq. Il porto di Milazzo è collegato da 25 chilometri di autostrada al porto di Messina e le Ferrovie stanno realizzando un collegamento che ridurrà il tempo a dodici minuti di percorrenza. Una sinergia tra i due porti consentirà di realizzare un sistema portuale sulle due sponde della Sicilia, in modo da attrarre traffico dal Tirreno e dall’Adriatico. Con il Ponte, taglia netto l’ingegner Crea, Reggio Calabria e Messina scomparirebbero trasformandosi in luoghi di transito ancor più di quanto non lo siano già oggi.

Parla il Presidente del WWF

Un aspetto ulteriore è quello ambientale. Lo Stretto è una delle aree “chiave” in Europa, assieme al Bosforo e allo Stretto di Gibilterra, per la migrazione di uccelli in primavera. Mentre negli altri due stretti i volatili sono protetti da oltre venti anni, dicono al WWF, e raccolgono un turismo verde fatto di centinaia di appassionati e ornitologi che arrivano da tutto il mondo, quello di Messina è patria del bracconaggio contro il quale combattiamo. Oggi il bracconaggio; domani, con il Ponte? Sarebbe un’”opera di regime”, ci dice Fulco Pratesi, Presidente del WWF Italia. La rete generale dei trasporti nel meridione è un deserto assoluto. Il Ponte mi darebbe l’impressione di uno quei negozi con splendide vetrine che nascondono all’interno poco più che uno sgabuzzino. Poi l’offesa al paesaggio sarebbe enorme, a causa in primo luogo delle devastanti “opere di appoggio”, specie quelle ferroviarie.

Soluzioni alternative e paradossi

Le soluzioni alternative al Ponte, totali o parziali, sono molte. Dalle più fantasiose che propongono un ponte letteralmente “alternativo”: un ponte sospeso a forma di cilindro; oppure un ponte sospeso nell’acqua e ancorato al fondale tramite tiranti, che sfrutti il principio vecchio di 2500 anni di Archimede, che operava, ironia della sorte, a Siracusa; e ancora il ponte con un pilone in mare collegato alla terraferma da un istmo artificiale, che restringerebbe lo Stretto di circa un chilometro. A quelle più scientifiche e credibili. Tra tutte quella dell’architetto Sauerborn. Che prevede un nuovo breve raccordo autostradale in Calabria che colleghi la città di Castrovillari al nuovo porto di Roccella Jonica su cui verrebbe convogliata parte del traffico che poi proseguirebbe via mare per la Sicilia, ma anche per Malta e la Grecia. Tutto ciò con l’aiuto anche dell’aeroporto internazionale di Lamezia a meno di un’ora. In meno di due ore si arriverebbe a Catania o Siracusa (risparmiandone altrettante di auto). Una soluzione, questa, che sarebbe anche perfettamente in linea con le strategie definite dall’Unione Europea in fatto di trasporti. Chiacchiere inutili tutte queste, sembrerebbe dire concludere l’ingegner Crea, perché il ponte non si farà mai. Perché? Semplicemente perché non si può fare: Nel mondo non esistono ponti sospesi di lunghezza superiore ai due chilometri, figuriamoci lunghi 3,2. Una ragione tecnica è che i cavi in acciaio più resistenti, oggi usati anche per i ponti autostradali, hanno un limite di rottura di 500 kg per mmq: questo non basta per il Ponte di Messina. Per concludere, Crea cita un paradosso: Con il Ponte dovrebbero rimanere in servizio a tempo pieno anche gli attuali traghetti, per l’emergenza di una struttura estremamente vulnerabile (vento, attentati, terremoti, manifestazioni di protesta che lo bloccherebbero facilmente).

Un nostro rammarico

Rimane un rammarico: non aver potuto entrare in contatto con la società Stretto di Messina. Avremmo voluto sapere da loro come il Ponte potrebbe autofinanziarsi. E se i costi relativi al riordino e riqualificazione delle città e al completamento delle attuali reti stradali a ferroviarie non andrebbero calcolati/ripartiti già da ora; e gli interventi progettati. Avremmo voluto sapere se la Società Stretto di Messina ha una sede e un bilancio, visto che non ne abbiamo trovato tracce sul suo ricco sito Internet; e avremmo voluto chieder loro le cifre essenziali di tale bilancio (entrate/uscite ’99). Infine avremmo voluto sapere se hanno avuto le risposte (e quali sono state) dei due advisor ambientale e tecnico (Price Waterhouse Coopers e Parsons Transportation Group) che dovevano giungere in questi giorni. Da quelle risposte dipende parte del futuro del Ponte. Tutte domande che abbiamo ripetutamente sottoposto alla loro attenzione, ma che sono rimaste senza risposta. Al momento di andare in macchina, veniamo a sapere che Antonino Calarco, dal 1990 presidente della Stretto di Messina e destinatario delle nostre domande, è anche Direttore della Gazzetta del Sud, giornale leader di Messina e della Sicilia orientale. E che Calarco usa il giornale con insistenza e una certa disinvoltura nella “promozione” del Ponte.
Peccato. Da un collega ci aspettavamo più attenzione.

Leonardo de Sanctis

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Assabenadica! (S'Abbenadica)

Anche il risemantizzare, il restituire il significato autentico al nostro antico e nobile Saluto (Assabenadica!-Che Dio ti benedica!) equivale a ricostruire un pezzettino di quelle radici strappate e denigrate da un sistema coloniale che ci è stato fatto accettare con la piu' subdola delle violenze mentre perseguiva l'obiettivo di portare a compimento una vera e propria "pulizia etnica": quella contro il <> (la cui Identità è stata svuotata senza pietà e impedita nel suo sviluppo).Oggi ci vergognamo macari a parrari sicilianu, o non ne siamo capaci, o temiamo di passare per zaurdi. E non ci accorgiamo neanche che il nostro "cervello" è stato lavato col diserbante e stirato da decenni di scuole e televisioni e giornali NEMICI DEL POPOLO SICILIANO IN QUANTO SOGGETTO STORICO. Oggi non sappiamo neanche salutarci...E quando sento parlare di "sicilianità" (che siamo pure "sotto elezioni"!)da persone che s'affruntinu a salutarisi in Lingua Siciliana, penso che in questa "riserva indiana" ci sia piu' che mai bisogno di "sciamani", di "guerrieri dello spirito", di uomini e donne d'Onore che, con gandhiana determinazione, comincino a rimettere un po di cose al loro giusto posto. Ne va della Salute interiore nostra e di chi vive intorno all'Etna, nel cuore del Mar Bianco Centrale, come i Siqilli (Arabi Siciliani) chiamavano il Mediterraneo quando reinnestarono con la loro vitalità l'Albero millenario della Patria Siciliana. Salutiamoci come facevano i nostri nanni, nannavi e catanannavi: Assabenadica!, e non badiamo alla reazione di chi ci ascolta...chè il problema non sono gli altri, il problema è nel nostro cervello, chè è stato "sfardatu" dal virus coloniale. Con questa speranza, e con l'annuncio che sta per nascere la nuova e inedita Associazione <> vi giungano la mia <> e i miei personali auguri di Bonu Annu Novu. Assabenadica!

Mario Di Mauro - Ramacca (CT)

    

In risposta alla lettera di Mario Di Mauro

Caro Mario,
il saluto che tu indichi come "assabenedica" e traduci "Dio ti benedica", é in realtà "s'abbinirica", o se preferisci "s'abbenedica", che essendo la forma colloquiale della frase "Voscenza abbenedica", non vuol dire affatto quel che ritieni tu, ma é un modo di chiedere la benedizione agli anziani, ai saggi, alle persone che più riteniamo degne del nostro rispetto (appellandole appunto col titolo di Voscenza o Vossia-vostra signoria-). Ecco perchè si risponde "santo e ricco", come uno dei destinatari del tuo messaggio ci ha fatto notare. Augurare santità e ricchezza costituisce appunto la benedizione richiesta al nostro interlocutore ( e non a Dio). Fatta questa piccola precisazione e ringraziandoti per avermi pensato ( insieme a qualche centinaio di sconosciuti, quanto fantasiosamente denominati, tuoi conoscenti) nel formulare gli auguri, devo comunque esprimerti la mia seria preoccupazione per quanto vai cianciando. Francamente non sento alcun bisogno di "sciamani", di "guerrieri dello spirito", di uomini e donne d'Onore a difesa di un popolo siciliano quale soggetto storico. Trovo di gran lunga più stimolante una partecipazione critica a diverse culture, l'integrazione di aspetti dell'una con diversi aspetti delle altre. Le culture non si difendono con le crociate o con le guerre di resistenza, ma si mantengono in vita solo se trovano, dentro sè stesse e nella critica sociale, il modo e la forza per trasformarsi, ed é compito degli ordinamenti giuridici moderni proprio quello di rendere possibile e circondare di garanzie questa capacità di rigenerazione. La rievocazione di vecchie tradizioni ha il suo fascino, ed un valore storico che non va disperso, ma non giustifica nè l'erezione di barriere, nè l'arroccamento sulle proprie posizioni. La realtà odierna più che mai parla di contaminazioni culturali e di ibridazioni , altro che difesa del proprio particolare. Seppure possano esistere i tratti oggettivi (lingua, religione, costumi, tradizioni) che evidenzino l'esistenza di una etnia siciliana , fare della sua ricostruzione il fine di un'azione politica vuol dire creare motivi di conflitto con chi da questa etnia é fuori, vuol dire contrapporre a noi gli altri, vuol dire porre in essere processi di esclusione. Non voglio certo abbandonarmi agli abbagli del multiculturalismo e so bene che molte "Case interculturali" vivono in bilico tra folklore, attivismo da scuola serale e sede di rivendicazione di rappresentanza sociale e politica che viene negata altrove. E naturalmente non mi riferisco a manifestazioni "multiculturali" come feste di colori, suoni, lingue, anche se seguite dall'immancabile tavola rotonda. Sono per la tutela dei diritti alla propria integrità identitaria e alla particolarità storica della propria origine, purchè questo venga vissuto comunque in maniera aperta, che non conduca all'esclusione delle altre popolazioni, all'ostilità reciproca e al legame con il sangue e la terra, fissandosi al concetto di razza. Confidando che nel mio cervello sia sopravvissuto qualche cespuglio d'erba, ti saluto affettuosamente

PALMA

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