Vitaliano Brancati è stato scrittore, saggista, drammaturgo, sceneggiatore tra i più importanti del Novecento italiano, di cui divenne personaggio chiave.
Insieme a Ercole Patti forma la diade denominata “i maestri dell’eros”. Fu mentore di Leonardo Sciascia e Gesualdo Bufalino. Nato a Pachino, in provincia di Siracusa, il 24 luglio 1907 da Rosario, avvocato con interessi letterari, e da Antonietta Ciàvola.
A Roma, oltre a insegnare, inizia l'attività di giornalista, dapprima per il quotidiano Il Tevere e, in seguito, dal 1933 in poi, per il settimanale letterario
Quadrivio. Grazie pure ai contatti con Moravia ed Alvaro, si allontana dalle posizioni politiche favorevoli al regime, al punto da ripudiare i suoi lavori precedenti.
Il nuovo corso artistico si apre con "Gli anni perduti" (1938), intriso di umori gogoliani e cechoviani: ma è con "Don Giovanni in Sicilia" (1941), che egli s’impone
all’attenzione della critica e del pubblico. Attorno alla figura del quarantenne Giovanni Percolla, il Brancati traccia un quadro pungente e serrato del “Gallismo”,
(termine coniato da Brancati per indicare satiricamente la vanità erotica degli uomini in genere e dei siciliani in particolare, quel loro sentirsi, e vantarsi di
essere "bravi nelle faccende d’amore"), in una città della Sicilia: e per il tramite dell’inconcludenza smargiassa, delle immaginarie avventure erotiche dei suoi
giovani abitanti, egli allude maliziosamente alle smanie di grandezza imperiale, al velleitarismo d’un paese perduto nelle adunate oceaniche.
Anche il nonno era stato autore di novelle e di poesie. Compì gli studi inferiori a Modica dove visse dal 1910 al 1919 e quelli superiori a Catania dove si trasferì con la famiglia nel 1920. Vitaliano aveva appena tredici anni
quando arrivò nel capoluogo etneo, che diventerà il luogo della sua formazione e assumerà un ruolo chiave nella sua opera. Il periodo catanese è fondamentale, tanto che Brancati è da molti considerato come lo scrittore catanese per eccellenza,
per aver ritratto magistralmente le caratteristiche di questo particolare “tipo” umano. Nella città etnea frequentò la facoltà di Lettere presso la locale università, laureandosi nel 1929 con una tesi su Federico De Roberto;
successivamente insegnò per diversi anni a Caltanissetta nell'Istituto Magistrale, frequentato in quegli anni da Leonardo Sciascia che però non fu suo alunno.
Pubblica opere (il poema drammatico “Fedor”, 1928; l’atto unico “Everest”, 1931;
il dramma patriottico “Piave”, 1932) di irrilevante valore artistico e manifesti intenti di propaganda nazionalfascista.
La sua formazione giovanile viene segnata da un'ideologia irrazionalista che entra in crisi quando dalla Sicilia si trasferisce a Roma dove ha modo di frequentare intellettuali crociani e democratici che gli aprono un orizzonte culturale europeo.
Nel 1946 si sposa con
l'attrice Anna Proclemer, e scrive per lei il testo teatrale La governante e dalla quale si separa poco prima della sua morte, nel 1954. Dal matrimonio nasce
una figlia, Antonia, il 6 maggio 1947. Nel 1949 scrive “Il Bell’Antonio”, descrizione amara e risentita del provincialismo fascista: la grottesca impotenza che
affligge il protagonista diviene metafora di come, per l’autore, l’erotismo dei siciliani “consista nel pensare e sognare la donna con tale assiduità e intensità, e
talmente assottigliandone e sofisticandone il desiderio, da non reggere poi alla presenza di lei, dall’esserne umiliati e come devastati” (Sciascia). È ancora
un’ossessione sessuale al centro dell’incompiuto ed ambizioso ultimo suo romanzo rimasto incompiuto, “Paolo il caldo” (1954); tra i racconti, spicca lo straordinario
“Il vecchio con gli stivali” (1944), acre satira del fascismo e dell’antifascismo ufficiale, trasposta in celluloide da Luigi Zampa in “Anni difficili” (1947).
L’ipocrita divieto di rappresentazione che colpisce il migliore dei suoi lavori teatrali, “La governante” (1952), incentrato su un caso di non accettata omosessualità
femminile, ispira all’autore il pamphlet “Ritorno alla censura” (1952), ove egli rivendica la libertà d’espressione dell’artista. Della sua attività di sceneggiatore
cinematografico, meritano menzione almeno “La bella addormentata” (1943) di Luigi Chiarini, “Silenzio, si gira!” (1944) di Carlo Campogalliani, il già citato “Anni
difficili” cui fa seguito - sempre per la regia di Zampa - “Anni facili” (1953), “L’uomo la bestia e la virtù” (1954) di Steno.
Muore in una domenica di settembre del 1954, il giorno 25 a soli 47 anni dopo un'operazione chirurgica consistente nello svuotamento di una cisti. Il chirurgo
decise di asportarla definitivamente, ma il vuoto provocò una crisi mortale. La salma, nel viaggio di ritorno da Torino a Catania, sostò a Roma dove amici e scrittori
gli resero omaggio. I funerali si svolsero il 29 settembre nella chiesa dei Minoriti a Catania. A fine cerimonia la commemorazione fu tenuta dall'amico e storico
dell'arte Enzo Maganuco. Il comune inviò le guardie municipali per il picchetto d'onore. Grande fu il cordoglio generale della città di Catania.
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