Dal libro di Sergio Salvi - Le lingue tagliate. Storia delle minoranze linguistiche in Italia - Milano (1975), pagg. 83-85, nota 9.
....Oggi, spentisi gli echi della rivolta separatista dell'immediato dopoguerra, alcune istanze nazionali siciliane
(tanto politiche quanto linguistiche), sono avanzate dal movimento Sicilia Nostra, che ha provveduto a una nuova codificazione della lingua dotandola di una nuovissima
ortografia. Il movimento si appoggia a un istituto culturale, il Centro Studi Storico-Sociali Siciliani che sta approntando una poderosa
Storia della nazione siciliana in cinque volumi, l'ultimo dei quali è significativamente intitolato "Il secolo della
dominazione attuale (1860-1960)".
"L'Italia senza la Sicilia non lascia immagine nello spirito, qui è la chiave di tutto" (Italien ohne Sizilien macht gar kein Bild in der Seele, hier ist der Schluessel zu allem).
- Wolfgang Goethe 1787 -
Centro Studi Storico-Sociali Siciliani: al servizio del Popolo Siciliano |
"Videtur sicilianum vulgare sibi famam pre aliis asciscere (aver raggiunto fama sopra gli altri); eo quod quicquid poetantur Itali sicilianum vocatur": così Dante Alighieri nel De vulgari eloquentia (I, 12) stabiliva la priorità del siciliano sugli altri dialetti, nella tendenza a esprimersi e purificarsi in forme d'arte. Et quia regale solium erat Sicilia, factum est ut quicquid nostri predecessores vulgariter protulerunt, sicilianum vocetur: quod quidem retinemus et nos, nec posteri nostri permutare valebunt: e così dava il nome alla "Scuola Siciliana". Sorta attorno a Federico II, essa è la prima poesia d'arte che ardisca usare il volgare....Non si deve però dimenticare che il nome di "Scuola o Poesia Siciliana" va inteso in senso non geografico ma di maniera poetica, perché quella poesia si diffuse in tutta Italia, e specialmente in Toscana e a Bologna.: e siciliani sono Guittone D'Arezzo (il caposcuola nell'Italia centrale), Bonagiunta Da Lucca, Dante Da Maiano, Folcacchiero De' Folcacchieri di Siena, Meo Abbracciavacca di Pistoia, ser Onesto Bolognese... In Toscana questa maniera poetica si fa più arida e imitatrice...
- Augusto Vicinelli Maestri e Poeti della letteratura italiana. -
Come si sa, la storia è scritta dai vincitori. Per unire l'Italia attraverso quelle sanguinose guerre di conquista che vanno sotto
il nome di Risorgimento, i liberal-massoni piemontesi hanno invaso, occupato e definitivamente cancellato dalla carta geografica il "Regno delle Due Sicilie", guidato
dai Borboni. In seguito i vincitori si sono affannati nel raccontare peste e corna di quel regno, dipinto come arretrato, immiserito e privo di libertà; e questo
impariamo ancora oggi grazie ai testi scolastici.
Pochi sanno che, prima dell'invasione garibaldina, il Regno delle Due Sicilie aveva la terza flotta mercantile di
tutta Europa, una solida moneta, un fatturato industriale superiore di dieci volte a quello piemontese, non conosceva l'emigrazione, aveva un numero di impiegati
nell'industria e di medici pari al doppio di quello piemontese e una quantità di moneta di due volte superiore.
Fonte: Il Timone n.6 marzo/aprile 2000 pag. 15 - 21054 Fagnano Olona (VA) -
La prima poesia italiana, oltre che per precisa testimonianza di Dante Alighieri è attestata da Francesco Petrarca,
(nel Trionfo d'amore, IV, 35-36 e nel prologo delle Epistolae familiares) e risuonò alla corte palermitana di Federico II di Svevia, con poeti
come Jacopo da Lentini, che inventò il sonetto; come Pier delle Vigne che fu segretario e collaboratore di Federico II, e ambedue furono cantati dall' Alighieri.
La Trinacria simbolo per millenni della Sicilia, nozione della forma geografica triangolare dell'isola trova una sua raffigurazione simbolica nel mostro a tre gambe, grecamente detto triskéles (a tre gambe) o latinamente trìquetra (a tre vertici). Da questa configurazione a tre vertici venne la Sicilia antica il nome di Triquetra o Trinacria che diede, forse in epoca ellenistica, quella rappresentazione strana e caratteristica a tempo stesso, di una figura gorgonica a tre gambe, adottata perfino in alcune monete dell'antichità classica, e divenuta poi il simbolo ufficiale dell'isola.
Gli studiosi sono concordi nell'affermare che si tratta di un antico simbolo religioso orientale, sia che rappresentasse il dio Baal, o il sole, nella sua triplice forma di dio della primavera, dell'estate e dell'inverno, sia che rappresentasse la luna con le gambe talora sostituite da falci lunari. Le sue più antiche manifestazioni documentarie, si trovano in monete di varie città dell'Asia Minore, come Aspendo in Panfilia, Olba in Cilicia, Berrito e Tebe nella Troade, ed in città della Licia, con datazione variabili da VI al IV secolo a.C..
Il simbolo della Trinacria, se perdette il suo originario valore solare, ne acquistò uno sacrale in Sicilia, dato il suo valore apotropaico, che lo trasformò in una sorta di talismano. Ma il suo valore divenne essenzialmente geografico: e si identificò talmente con la Sicilia, nelle sue diverse denominazioni di Trinacria, Triscele, Triquetra, Trichetria, che fu addirittura "esportato", il simbolo della Trinacria si trova nell'Isola di Man nel mare d'Irlanda, portatovi, secondo una leggenda locale, dai Normanni che venivano dalla Sicilia nei secoli X - XI, che sostituirono con la Trinacria l'antico simbolo dell'isola irlandese, che sotto i re scandinavi era costituito da un vascello; il simbolo siciliano si trova in stemmi di famiglie nobili straniere, come gli inglesi Stuart d'Albany (probabilmente per indicare il loro dominio su isole del mare d'Irlanda, come l'isola di Man), i Drocomir di Polonia, i Rabensteiner di Francoia, gli Schanke di Danimarca; e che in tempi più recenti anche re Gioacchino Murat inquartò la Trinacria nel suo stemma.
Infine, per quel che riguarda il vessillo ufficiale della Regione Siciliana, esso è costituito da un drappo bicolore giallorosso con a centro il vecchio simbolo triscelico della Trinacria, che diagonalmente esprime il giallo della bandiera civica di Palermo e il rosso della bandiera civica di Corleone, che fu il primo comune siciliano a seguire l'esempio di Palermo nella vigorosa rivolta antifrancese del Vespro Siciliano, scoppiato nella generosa Città di Palermo il 30 Marzo 1282.
Come preliminare propedeutica al problema dell'origine e dell'evoluzione del simbolo della Sicilia, rappresentato dalla nota
figura a tre gambe con una testa gorgonica al centro, non sarà inopportuna qualche riflessione sull'origine stessa del nome Sicilia : che non è un nome greco,
come generalmente si crede, perché i Greci, colonizzando l'isola a partire dall'VIII secolo a.C., non fecero altro che utilizzare un toponimo preesistente, come del
resto avvenne in parecchi casi consimili.
Stando così le cose, più che di un'origine italica, si deve trattare di una radice indoeuropea; e pertanto noi ci accostiamo all'ipotesi filologica
formulata da Carlo Pascal, il quale nel 1905 affermò con buone ragioni che i nomi di Sicilia e di Sicania debbono essere riferiti alla radice indogermanica sik,
che denota ingrossamento, crescita, e quindi indica agevolmente il concetto di feracità e di fertilità come si riscontra nei toponimi non soltanto di Sicilia
ma anche di Sicino, isola dell'Egeo; di Sicione, città greca presso Corinto, patria dello scultore Policleto; di Sice località presso Siracusa:
senza contare, aggiungiamo noi, che la stessa radice sik si riscontra nella denominazione dei vegetali che danno veramente un'idea precisa del concetto di
ingrossamento e di feracità insito nel fonema sik, perché il fico in greco si chiama siké, e il cocomero ed anche la zucca, si chiamano sikus.
La spiegazione proposta dal filologo Carlo Pascal è quindi accettabilissima; anche perché il termine "Sicilia" e gli aggettivi derivati da esso, come Siciliano,
non furono adoperati soltanto nell'isola per indicare la fertilità del terreno, perché presso Tivoli, nel Lazio, c'era una località chiamata Sicilianum, e sullo
stesso Palatino, a Roma, esisteva un luogo denominato Sicilia; senza dire di una collina di forma triangolare, presso Atene, si chiamava Sicilia.
L'origine generalmente accettata di questo toponimo - ammesso che si tratti di un'origine italica - è che esso derivi
dalla voce italica sica, che equivale a falce; sicchè la Sicilia sarebbe stata denominata dai suoi abitatori, i Siculi, il cui nome equivarrebbe a
falciatori, così come il nome di altri antichi popoli italici derivava dalle loro occupazioni agricole (per esempio, Opici significherebbe 'operai',
e Morgeti 'raccoglitori di covoni').
Sennonché, per quanto l'ipotesi sia suggestiva, essa non soddisfa pienamente lo studioso, perché i Siculi non possono
essere interpretati come falciatori, per il semplice motivo che essi, per indicare la falce non dicevano sica, ma zancle: e che questo vocabolo
siculo indichi proprio la falce è provato dalla denominazione sicula di Messina, che prima della colonizzazione greca si chiamava Zancle, per la forma falcata del suo
porto naturale, formato dall'arcuata penisola di San Ranieri. D'altro canto, è conosciuta la caratteristica predilizione che i Siculi avevano per derivare i toponimi
dalle caratteristiche geologiche del terreno su cui sorgevano i vari centri abitati, come è avvenuto per Catania, il cui nome originario siculo Katane indicava
uno scorticatoio o una grattugia, e fu integralmente grecizzato dai colonizzatori calcidesi.
Sicilia significa quindi "Isola della fecondità, Terra della prosperità" e giustifica l'appellativo di "America dell'antichità" con cui l'hanno suggestivamente
chiamata scrittori moderni, come il pubblicista anglosassone Anton Gardner il quale scrisse che la Sicilia era così fertile che divenne un'attrazione per i forestieri
(Fertile, so that the island became a magnet for emigrants: the America of the ancient world); e come ha fatto il romanziere contemporaneo Giuseppe Tomasi di Lampedusa,
che nel suo capolavoro narrativo ha scritto: "la boscaglia, aggrappata alle pendici di un colle, si trovava nell'identico stato di intrico aromatico nel quale la
avevano trovata Fenici, Dori e Joni quando sbarcavano in Sicilia, quest'America dell'antichità".
Noi accettiamo questa immaginifica definizione perché essa è
efficace e convincente: e la sua attendibilità diventa senza dubbio maggiore, se la poniamo in relazione con le definizioni che della fertilità della Sicilia hanno dato
due illustri scrittori greci, lo storico Polibio di Megalopoli e il geografo Strabone di Amasia, che chiamarono la Sicilia "la dispensa di Roma"; e se la raffrontiamo
con la celebre espressione di Catone il Censore, riportata e fatta sua da Cicerone nelle Verrine, che la Sicilia era la dispensa e il granaio dello stato
romano, e la nutrice del popolo di Roma cellam penariam reipublicae nostrae, nutricem plebis Romanae. E pertanto riesce gradita anche la graziosa leggenda,
accolta dal geografo contemporaneo Ferdinando Milone, secondo la quale i Greci distrutta Troia, occuparono la Sicilia, che allora si chiamava Trinacria, e le
cambiarono il nome per la sua fecondità, chiamandola Sikelia.
Estratto da: Saggi Siciliani di storia e di letteratura del prof. Santi Correnti - Edizioni Greco - Catania
"...Per quanto riguarda le cause dei ricorrenti dissesti di via Etnea a Catania, mi richiamo alle osservazioni che l'ing. Pietro
Guglielmino ebbe a sollevare subito dopo la realizzazione della pavimentazione da parte della ditta "Salp di Trento". Il tecnico constatò che l'impresa invece di usare
per come era prescritto nel capitolato d'onere - cubetti di porfido di 12 cm - realizzò la pavimentazione con cubetti di 8 cm, cubetti che hanno una cubatura di gran
lunga inferiore (1/3 circa) con un conseguente cospicuo risparmio per l'impresa e un danno a carico del Comune, che ha avuto consegnata un'opera realizzata in dispregio
alle regole dell'arte.
- Domenico Cirelli -
Altipiani, colline, monti; un'estesa pianura, quella di Catania, dominata dalla mole dell'Etna;
oltre mille Km di coste ora alte e rocciose, ora basse e sabbiose; golfi famosi, come quello di Palermo con la celeberrima Conca d'Oro; isole ed isolette di varia
natura emergenti dall'onnipresente specchio del mare; la perenne trasparenza del cielo azzurro, lo splendore del sole e la mitezza del clima: questo è il volto
della sicilia.
di Marco Giannusa, Fabio Graziano, Antonio Masnata e Giuseppe Di Fiore
Legata geograficamente al continente Europeo, l'isola ha sempre ricevuto il respiro africano del mediterraneo meridionale. Alle soglie della fascia
subtropicale, essa vive di fatto sul confine culturale stabilito dall'antico mare interno. I ricorsi migratori vi si sono incontrati e vi hanno costruito uno speciale
amalgama.
Non solo, la Sicilia è anche luogo di miti e leggende , teatro di antichi fasti, punto di incontro e di scontro nei millenni, di civiltà e di popoli
diversissimi che hanno lasciato ovunque, nel bene e nel male, i segni della loro presenza.
L'isola presenta una forma triangolare, come voleva forse significare l'antico nome greco Thrinakie, nome poi mutato in
Trinakria, cioè "isola dei tre promontori", che sono capo Faro, a nord di Messina; capo Boeo, o Lilibeo, su cui
si trova Marsala; capo Isola delle Correnti che con il vicino capo Passero, si protende verso le coste Libiche.
Fonte:www.neomedia.it/stagesicilia/geografia/
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