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Nacque a Mineo, in provincia di Catania, nel 1839 da una famiglia benestante di proprietari terrieri dominata dalle
figure degli zii Antonio e Mimì, ebbe una giovinezza serena e una educazione alquanto tradizionale nel contesto della borghesia isolana. Nel
1857 s'iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell'università di Catania. Cominciò ben presto ad interessarsi alla letteratura e in special modo alla poesia popolare,
seguendo la sensibilità romantica, allora dominante. Gli anni che immediatamente seguirono - fino al 1863 - furono tuttavia caratterizzati dai primi contatti letterari nell'ambito cittadino, che
indubbiamente lo confortarono nelle scelte immediate e lo indirizzarono verso un'esperienza artistica assai lontana dalla cerchia universitaria.
Nel 1863 tornò a Mineo, dove compose dei drammi, sempre d'ispirazione romantica, poi rappresentati da una compagnia d'attori filodrammatici.
Nel 1861 componeva un dramma in versi,Garibaldi, improntato al clima romantico del tempo e dava inizio, dopo l'abbandono degli studi di giurisprudenza, a un'intensa attività
poetica culminata nei sonetti di Vanitas vanitatum (1863) e nelle prime esperienze nell'ambito del folklore siciliano alle quali l'aveva
sospinto la calda amicizia di Leonardo Vigo, raccoglitore instancabile dei canti popolari siciliani.
Nel 1864 troviamo il giovane Luigi trasferito a
Firenze (a spese della famiglia) che, in quanto capitale d'Italia, accoglieva l'élite culturale del paese, protagonista della vita artistica della
città, frequentatore assiduo del Caffè Michelangiolo e dei salotti letterari, ove si riunivano i nomi più illustri della cultura fiorentina; qui il Capuana conobbe il Prati, l'Aleardi e cominciò
ad interessarsi all'opera di Balzac e di altri romanzieri francesi.Intanto, per arrotondare l'esiguo mensile inviatogli dalla famiglia
accettava il lavoro di cronista teatrale della Nazione, impegnandosi in un'attività giornalistica che avrebbe agito positivamente
nella sua formazione come stimolo al ripensamento critico e alla elaborazione della sua poetica. Proprio nelle colonne della Nazione
veniva precisandosi la fisionomia del critico: rinuncia a ogni impostazione romantica e scelta di uno sperimentalismo attivo a cui non
erano estranee le appassionate letture straniere; un continuo desiderio di ampliare la propria cultura a contatto di ogni esperienza innovatrice.
Infine un primo ma non sommario incontro con i saggi desanctisiani lo aveva avviato verso l'estetica hegeliana, e quindi alla necessità della
sperimentazione formale per il rinnovamento dell'arte contemporanea. Dalle pagine del cronista doveva muovere in seguito la molteplice e complessa
attività del critico. Molti nomi nuovi ricorrono nel suo taccuino: Balzac, certo, e lo Zola e i Goncourt, ma anche i nuovi astri del teatro francese,
l'Augier, il Sardou e il Dumas. Proprio sotto l'egida del Dumas, appare nel periodo fiorentino la prima novella, Il dottor Cymbalus,
pubblicata sulle colonne della Nazione.
Nel 1869, per motivi di salute, decide il ritorno a Mineo, vi intrecciò una relazione con una
popolana, dalla quale ebbe dei figli in seguito abbandonati. In Sicilia rimarrà per sette anni, trattenuto dalla morte del padre e dalla cura dei
suoi interessi privati. Nel 1871 diviene ispettore scolastico e si dedica con passione ai problemi della istruzione obbligatoria; nel 1872 è eletto
sindaco di Mineo e la sua attività di pubblico amministratore sarà così energica da fargli attribuire la meritata etichetta di De Pretis di
Mineo.
Accanto al maturarsi del critico si fa strada irrefrenabile la disposizione narrativa
che lo conduce, in alcune novelle, alla sperimentazione di tecniche diverse e a farsi sostenitore di esperienze contrastanti, anche se l' interesse per la poetica
naturalistica ha il sopravvento in questi anni, contribuendo alla formulazione della non esatta etichetta di campione del verismo italiano ch'egli non
accettò mai in un'accezione semplicistica.
Nel 1877 chiamato dal De Meis, e seguendo l'esempio del Verga, abbandona di nuovo la Sicilia,
questa volta per Milano dove gli sembra concentrarsi la cultura più viva della nuova Italia.
Si apre così il periodo milanese (1877-81)
nella vita di Capuana. Lavoratore instancabile, diviene assiduo collaboratore del Corriere della Sera e la sua firma richiama
progressivamente l'attenzione di un vasto strato di pubblico.
Intanto, a contatto con la Scapigliatura e con le correnti dell'avanguardia
postromantica, amplia notevolmente il proprio orizzonte spostandolo sul piano europeo, soprattutto con l'ardita impostazione del suo lavoro
narrativo: pubblica la raccolta di novelle Profili di donne (1877) e il primo romanzo Giacinta (1880), un'opera di largo respiro e di
netta impostazione naturalistica che sarà in seguito ridotta per il teatro e di nuovo edita con notevoli varianti nel 1885. Compaiono nell'80 i primi
studi sulla letteratura contemporanea, seguiti a breve scadenza, nell'82, dalla seconda serie; si organizza così anche la fisionomia del critico
militante, impegnato nell'affermazione dell'estetica hegeliana e nella battaglia per il trionfo in Italia delle nuove poetiche europee: dal
naturalismo zoliano allo psicologismo bourgetiano. Al centro delle polemiche veriste egli si batte per un'arte che non sia estranea alla
società del suo tempo, ma insieme concede ampia libertà alla sua sete di ricerca e al bisogno di sperimentare ogni via che assicuri il rinnovamento
formale. Con l'amico Giovanni Verga diviene una delle punte della giovane letteratura: intorno ai due siciliani si forma un gruppo che ha
notevole peso nella vita culturale della città.
Dopo un breve soggiorno a Mineo, nell'82 è chiamato a Roma per sostituire Ferdinando Martini alla
direzione de Il Fanfulla della domenica. Al giornale resterà circa
due anni: un periodo breve ma intenso che gli consente incontri proficui:
dal Sommaruga allo Scarfoglio, dalla Serao a D'Annunzio. Raccoglie intanto
una nuova serie di novelle (Homo) e dà inizio a uno dei filoni più
originali della sua esperienza narrativa, quello della fiaba, spinto su
questa strada dalla sua antica passione per il folklore e la poesia
popolare e dal costante incitamento dell'amico Giuseppe Pitrè. Vedeva la
luce così la raccolta di fiabe C'era una volta (1882),
seguita da una lunga serie di opere analoghe (Il regno delle fate,
Il raccontafiabe, Seguito al C'era una volta, ecc.)
e da una ricerca assidua nel settore della narrativa per l'infanzia e la
gioventù, che doveva approdare a un piccolo capolavoro come
Scurpiddu (1898), un racconto lungo in cui gli elementi realistici
trovano un felice rapporto con la sotterranea radice fantastica.
Dal
1884, per alcuni anni, è di nuovo nel ritiro di Mineo, dove nel 1885 sarà
rieletto sindaco. In questo periodo attende alla stesura delle opere di
maggior impegno sia nel campo della saggistica, sia in quello della
narrativa, dando veste definitiva ai romanzi ai quali da tempo pensava:
Profumo (1890), La sfinge (1897), il Marchese di Roccaverdina
(1901).
Inoltre, lavora accanitamente alle novelle, seguendo il duplice
binario dello studio delle passioni borghesi e dell'indagine realistica
nell'ambiente paesano (Le paesane, del 1894 e le Nuove
paesane del 1898). Proprio in questo settore del suo lavoro il Capuana
troverà il rapporto più felice tra le istanze realistiche della sua
poetica e le qualità innate della sua fantasia, in un contesto psicologico
non aggravato dalla volontà documentaristica.
A Roma nel 1895 conosce
la giovane Adelaide Bernardini, che nel 1898 diviene sua moglie e compagna
affettuosa degli ultimi anni. E a Roma ottiene l’incarico di letteratura
italiana alla facoltà di Magistero. Nel 1902 é chiamato a coprire la
cattedra di estetica e stilistica all'università di Catania, ormai
celebrato come una delle glorie della cultura isolana fino alla morte,
avvenuta nel 1915. Negli ultimi anni lavora all’ultimo romanzo, Delitto
ideale (1902) , ad altre novelle ed alla produzione teatrale
dialettale, ottenendo notevoli consensi con il dramma Malia e con
le commedie Lu cavaleri Pidagnu (1909) e Lu paraninfu
(1914).
Giornalista, drammaturgo, commediografo, critico, è da
considerarsi come una delle figure centrali della letteratura italiana del
secondo ottocento e del primo novecento. Senza dubbio il centro della sua
molteplice attività, anche come sbocco del lungo dibattito teorico, resta
la produzione narrativa con la quale, allorquando giunge a superare le
strettoie dello sperimentalismo naturalista, s'impone come sicuro e
coraggioso innovatore. In particolare Le paesane, Giacinta e
Il marchese di Roccaverdina sono i lavori ove maggiormente
raccoglie le sue ambizioni d’interprete della società del suo tempo.
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